di Monica Di Sisto

Continuare a compiacere il compagno abusante: ormai la relazione commerciale tra Stati Uniti e Europa ha raggiunto i profili della patologia, e l’unico a difendere almeno le forme sembra rimasto il liberal Macron che, nonostante voglia fondare in Europa un proprio gruppo parlamentare distanziandosi dalla matrice socialista, non vuole sacrificare gli interessi offensivi nazionali a ricambi e parafanghi tedeschi. Sembrano ormai sbiaditi i tempi in cui il vicepremier Matteo Salvini definiva il Ttip “un tentativo di genocidi dei popoli europei” visto che potrebbe essere il suo ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio a dare il voto decisivo al riavvio del negoziato mentre il ministro competente Luigi di Maio tace accuratamente. Ma andiamo con ordine.

Ieri gli ambasciatori degli Stati Membri dell’Ue hanno chiuso un accordo di massima per sottoporre lunedì 15 aprile al Consiglio dei ministri per l’Agricoltura i due mandati che consentirebbero alla Commissione Ue, in vacanza di Parlamento quindi senza avere un interlocutore eletto a marcarla, di chiudere entro l’estate con il governo Trump una versione base del vecchio Transatlantic Trade and Investment Agreement (Ttip). Il Ttip redivivo abbatterebbe, sulla base di un primo documento, i dazi tra le due parti su un ampio ventaglio di prodotti industriali, manifatturieri e chimici, in primis auto e parti meccaniche di grande interesse per la Germania. E fin qui nulla di nuovo. Un secondo testo, però, riavvierebbe quel controverso negoziato di avvicinamento tra gli standard e i regolamenti di produzione, distribuzione, consumo tra Usa e Ue, con le solite modalità opache e preoccupanti che cinque anni fa hanno rovesciato in strada milioni di cittadini europei contrari a che la ragione commerciale decidesse di temi tanto connessi a diritti, lavoro, salute senza un adeguato coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. Sì perché un trattato così strutturato, non contenendo misure relative agli investimenti, salterebbe le ratifiche nazionali.

L’Europa negozia “con una pistola alla tempia”, pur avendo sempre affermato che non lo avrebbe permesso: Trump ha minacciato, infatti, questa stessa settimana con l’icastico tweet “La Ue si approfitta di noi, ora basta!”, di imporre dazi per un valore di US $ 11,2 miliardi sulle merci dell’Unione Europea (UE) in entrata nel suo Paese. Molti i prodotti italiani dell’agroalimentare che rischiano la tassazione: crostacei, polpi e vongole in barattolo, oltre ai molluschi in conchiglia. Mandarini e limoni freschi o essiccati, olio d’oliva vergine e non, acqua minerale e vini, oltre alla specifica inclusione del Marsala. Infine, pecorino, latticini e vino prosecco. Nel mirino anche il settore tessile, gli abiti confezionati, i costumi da bagno e le lenzuola. E poi travertino e granito da costruzione e arredamento, ceramiche, vetro. Lavorazioni dell’argento e metalli preziosi, macchine e parti per la lavorazione dei metalli.

La Francia, ugualmente attaccata, ha risposto mettendosi di traverso e suggerendo un possibile voto negativo al Consiglio di lunedì, cui sarebbe pronta a allinearsi la Spagna e il Belgio ad astenersi. Il punto dolente per Macron è che se la commissaria al Commercio Ue Cecilia Malmström parla di un “un accordo così limitato che si presenta ‘abbastanza facile’ da negoziare”, Trump e i suoi negoziatori non accettano questa impostazione perché hanno urgenza di ridurre il deficit commerciale con l’Ue che vale 150 miliardi di dollari. Per far questo non è alla meccanica che guardano, ma al mercato agricolo dell’Unione e insistono che è sulle barriere non tariffarie sanitarie e fitosanitarie che l’Ue deve cedere, e principalmente il blocco dell’importazione di bovini e suini allevati a dosi di ormoni, le lente autorizzazioni agli Ogm e il loro bando per l’alimentazione umana, i livelli a loro giudizio troppo bassi di residui di pesticidi ammessi negli alimenti e i divieti differenziati per Stati alla erogazione di Glifosate, nonostante le recenti sentenze che lo hanno collegato a casi di tumore. Per questi nostri standard, il ministro dell’Agricoltura americano Sonni Perdue ha definito sarcasticamente l’Europa “technology-free zone” sostenendo, tra l’altro, che bandire il Glifosate per difendere la salute pubblica – come ha fatto il Vietnam – sarebbe “devastante per la capacità produttiva globale”. D’altro canto, inoltre, Trump ha annunciato il ritiro del suo Paese dall’Accordo sul clima di Parigi, che sia il Parlamento europeo che la Francia considerano un requisito obbligatorio per la firma di nuovi accordi commerciali.

Se i governi europei, inoltre, sono stati chiari nel voler escludere dal primo mandato l’abbattimento dei dazi sui prodotti agroalimentari, non c’è nessun limite settoriale scritto nel secondo mandato alla possibilità dei negoziatori Ue di mettere sul tavolo regole e standard relativi a cibo, ambiente e salute. Al momento, inoltre, i governi dell’Unione hanno scelto di non revocare alla Commissione il vecchio mandato del 2013 che ha lanciato il Ttip e che ammette tutti i settori produttivi e le modalità alle liberalizzazioni potenziali, compresi servizi e investimenti. La strategia della Commissione, per stessa ammissione di Jean-Luc Demarty, direttore generale del dipartimento commercio, è di procedere a tappe partendo dalle aree meno controverse, come la rimozione delle tariffe per i prodotti industriali, e di affrontare le richieste degli Stati Uniti in materia di agricoltura in una fase successiva, a condizione che gli americani azzerino i dazi su acciaio e alluminio e presentino una controfferta negli appalti pubblici. Il governo italiano, nonostante sia stato interrogato recentemente da parlamentari della sua maggioranza sul perché nel Consiglio europeo abbia dato il suo assenso al nuovo Ttip, ha provato con il ministro Moavero Milanesi a minimizzarne la portata.

Missione impossibile: neanche mille selfie con i Gilet gialli potrebbero far dimenticare, alla vigilia delle elezioni europee, che un governo presunto sovranista si riveli assai meno sovrano di quello di Macron.

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