di Lorenzo Tecleme

Negli ultimi mesi i giornali di tutto il continente hanno dedicato ampio spazio al Green new deal Ue, il piano della neo-presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen che promette di essere il più ambizioso progetto di abbattimento delle emissioni della storia. “Sarà il nostro uomo sulla Luna” ha dichiarato la Von Der Leyen.

Non conosciamo ancora tutti i dettagli del progetto, ma si parla di mille miliardi di spesa preventivata, un fondo per la transizione equa e l’Europa come primo continente carbon neutral. La strada, dunque, sembra essere ormai imboccata: la politica ha ascoltato i giovani, il nostro continente sta cambiando e con lui il pianeta. Giusto? Purtroppo no.

Per capire quale sia la posta in gioco e cosa manchi alla proposta Ue dobbiamo fare un passo indietro di quasi cento anni, quando in politica si inizia a parlare per la prima volta di “New Deal”. È il 1932, e il mondo è sconvolto dalla prima grande crisi finanziaria del secolo quando un Presidente democratico Usa, Franklin Delano Roosevelt, annuncia un enorme piano di investimenti pubblici per rilanciare l’economia. Il New Deal, appunto.

La politica rooseveltiana è complessa e non priva di contraddizioni, ma introduce un principio spesso dimenticato: lo Stato, la collettività, il pubblico hanno il compito di assicurare il benessere dei cittadini, ed è giusto che intervengano nell’economia per farlo. Una regola vera sempre e particolarmente importante in periodi di crisi.

Ottantaquattro anni dopo, sempre negli States, sempre tra i democratici, questo vecchio insegnamento nel frattempo dimenticato sembra tornare d’attualità. Le crisi stavolta sono due: quella economica, figlia della deregulation e delle bolle speculative della finanza, e quella climatica, figlia di un sistema anarchico che per decenni ha ignorato gli avvertimenti della scienza pur di non rinunciare ai profitti.

E così vecchi e giovani attivisti radicali – dall’ultra ottantenne Bernie Sanders alla trentenne Alexandria Ocasio Cortez – lanciano l’idea del Green new deal: un grande piano di investimenti pubblici che abbatta le emissioni climalteranti, mitighi nuovi cataclismi dovuti al riscaldamento globale e al contempo aumenti l’occupazione e il benessere. La questione climatica è la grande sfida del nostro secolo, e non sono pochi gli studiosi che suggeriscono che anche un piano di queste dimensioni possa non bastare se non avviene un radicale cambio dell’economia.

Tuttavia in una situazione emergenziale come quella in cui ci troviamo una simile idea appare necessaria come l’aria, indispensabile per iniziare a combattere il cambiamento climatico, e non è un caso se i giovani statunitensi si dichiarano pronti a votare i candidati che appoggiano il Green new deal, mentre il Sunrise Movement – cugino d’oltreoceano di Fridays For Future – supporta ufficialmente Bernie Sanders nella corsa alle primarie democratiche.

Nell’attraversare l’Atlantico, però, la proposta mantiene il nome, ma perde di fascino: se infatti a parole nel vecchio continente il Green new deal gode di un supporto quasi unanime, la proposta della Von Der Leyen sembra lontana parente dei progetti che il dibattito pubblico americano offre. E così Greenpeace definisce le misure previste dalla Commissione “deboli, parziali o assenti”, mentre i movimenti per il clima si danno già appuntamento il 24 aprile per una nuova giornata di mobilitazione.

Ma perché il piano dell’Ue è accolto così duramente dagli attivisti? La risposta non è ideologica, ma terribilmente concreta. In primis, gli obiettivi che l’Unione si pone non sono in linea con quanto richiesto dalla scienza. Il piano, infatti, prevede di raggiungere la neutralità d’emissioni nel 2050. Dieci/quindici anni più tardi di quando le associazioni ambientaliste stimano debba essere il limite massimo per il nostro continente.

Poi, mancano i soldi. Certo, mille miliardi sono una cifra monstre per il cittadino comune, ma dobbiamo rapportarla ai bilanci di un continente come l’Europa e le esigenze di una transizione che, per citare l’Ipcc, richiede “uno sforzo senza precedenti”. Per dare un termine di paragone, altre stime suggeriscono una cifra minima dieci volte superiore, mentre il Green new deal proposto dai democratici americani si aggira intorno alle sedici volte tanto.

Anche questi mille miliardi, inoltre, sono ancora tutti da verificare. Dopo i primi, entusiastici lanci di agenzia infatti, molti organi di stampa stanno iniziando a ridimensionare i numeri, suggerendo che solo una piccola parte del piano consista in fondi realmente nuovi.

Lampante è poi la mancanza di obblighi per l’abbandono dei fossili e, anzi, le nazioni europee continuano a progettare nuovi gasdotti, trivellazioni, addirittura miniere di carbone. Inutile elettrificare trasporti e consumi coi fondi green, se poi quell’elettricità viene prodotta in inquinantissime centrali a carbone.

E se tutto questo vi sembra sufficiente per mettere in crisi la positività che i primi annunci comunitari sembravano ispirare, sappiate che i problemi non finiscono qua. Manca infatti qualsiasi piano concreto per la riduzione del consumo di carne, un settore responsabile secondo la Fao del 14% delle emissioni globali. Quanto i trasporti, per intenderci.

Nemmeno i Trattati di libero scambio vengono messi in discussione. Anzi, silenziosamente l’Ue continua a portare avanti le trattative per un accordo coi paesi sudamericani del Mercosur, che continuerebbero a bruciare la foresta amazzonica per produrre carne da importare in Europa in cambio di nuovi, fiammanti e inquinanti suv tedeschi.

Infine – ultimo ma non da ultimo, è il caso di dirlo – c’è la questione sociale. Chi pagherà questo piano? La risposta non è semplice. Se una parte dei fondi dovrebbe venire da privati (ed è ancora da capire se davvero questo accadrà), la maggior parte della spesa sarà pubblica, ma la Von Der Leyen ha già chiarito che non si faranno deroghe alle stringenti regole sul deficit per permettere agli stati membri di finanziare il programma. Di eliminazione dei sussidi alle fonti fossili non si parla, e appare francamente difficile che la cristiano-democratica Von Der Leyen voglia reperire i fondi tassando chi ha inquinato come prevede il Green new deal americano.

Niente deficit e niente tasse alle multinazionali impattanti: diversi commentatori iniziano a temere che i governi possano essere tentati dal finanziare queste misure con nuovi tagli a sanità, scuola, sicurezza, welfare state. Una riedizione tecnica del ricatto inquinamento/lavoro, niente a che fare con la giustizia climatica che risuona nelle piazze dei Fridays For Future né con il “paghi chi ha inquinato” dei celebri discorsi di Greta Thunberg.

Il Green new deal doveva nelle intenzioni scongiurare la catastrofe climatica e al contempo creare nuovi e ben pagati posti di lavoro. Questo piano rischia di fallire entrambi gli obiettivi. Per mandare un uomo sulla Luna servirebbe un razzo ma qui, al massimo, parliamo di un monopattino spennellato di verde.

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