Pipita è una furia, quel sabato. Al 5′, servito da Dybala, gela Consigli con una rasoiata a incrociare sul secondo palo e dopo altri cinque minuti chiude i conti con una girata al volo, il pallone sotto al sette e il portiere a guardarlo impotente. Sono da poco passate le 18 e il dipendente è lì, gli occhi incollati sul televisore del Bar Migliore di Apricena a godersi lo spettacolo offerto da Gonzalo Higuaín, ma a quell’ora in base al foglio turni dovrebbe essere sul posto di lavoro. Per i magistrati quelle passate davanti alla diretta tv di Juventus-Sassuolo il 10 settembre 2016 sono solo alcune di migliaia di ore non lavorate e pagate con soldi pubblici e il dipendente è a giudizio insieme a 9 colleghi del Consorzio di bonifica della Capitanata, nel foggiano. E il custode che ha denunciato il presunto sistema oggi accusa: “Per punirmi mi stanno mobbizzando“.

La chiamano Palude Grande, in quel lembo settentrionale del Tavoliere che si protende nell’Adriatico con lo sperone del Gargano. “Qui si sta a fare nulla, i macchinari funzionano in automatico e non ci sono mezzi da controllare”, racconta Matteo Pio Ciavarella al telefono dall’impianto idrovoro sul lago di Lesina, 35 km da San Severo, dove lo ha messo a lavorare il consorzio, l’ente che regola l’afflusso delle acque nei canali per evitare che territori strappati alla palude negli anni Venti del secolo scorso tornino a essere sommersi dalle acque.

Prima che denunciasse i suoi colleghi alla Guardia di finanza, Ciavarella viveva e lavorava nell’impianto principale del consorzio, a Palude Lauro. “Il regolamento prevede che lì ci sia sempre un dipendente addetto agli impianti e la copertura sia 24 ore su 24 – prosegue – Bisogna vigilare sul funzionamento delle pompe. Io, come custode, avrei dovuto solo controllare i mezzi in entrata e in uscita. Ma i miei colleghi se ne andavano al bar o a fare la spesa, così anche se non avevo né la formazione né l’inquadramento per farlo i vertici mi lasciavano a monitorare anche le idrovore”.

Ciavarella lo chiama “sfruttamento”. “I superiori mi minacciavano – racconta oggi il custode – ‘se non fai pure l’idrovorista, te ne vai a casa’, mi dissero una volta. Oppure ‘Se non facessi tutte queste cose, ora saresti già a spasso’. Questa storia va avanti dal 2011. Quell’anno, dopo le mie prime rimostranze, mi chiamarono a Foggia, nella sede centrale, e mi dissero: ‘O c’è o non c’è il collega, tu devi essere presente’. Per anni ho subito in silenzio per paura di perdere il lavoro, poi nel 2015 ho sporto la prima denuncia. Non ne potevo più”.

Il 23 giugno 2016 la Guardia di finanza di San Severo mette piede per la prima volta a Palude Lauro e fino a ottobre monitora gli orari d’ingresso e di uscita dei dipendenti dei due impianti, registra i loro spostamenti con il Gps e mette tutto a confronto con i documenti sui quali sono registrati gli orari dei turni di lavoro. A luglio l’ente scopre alcune telecamere installate sul cancello e accusa Ciavarella: “Dissero che le avevo messe io per controllare i colleghi e mi licenziarono”. Pochi mesi più tardi la Procura di Foggia che le aveva usate per indagare le richiede indietro e il consorzio riassume il custode a inizio 2017. Qualche settimana dopo, 10 febbraio, le Fiamme gialle depositano l’ordinanza frutto dei loro controlli.

Gli inquirenti lo definiscono “un sistema collaudato mediante il quale i dipendenti del Consorzio, in concorso tra loro, con condotte autonome e indipendenti, si rendevano responsabili di episodi di assenteismo ripetuti nel tempo”. C’era, ad esempio, chi era di turno a Palude Lauro ma se ne andava in banca, in salumeria o a comprare le mozzarelle con la moglie. Qualcuno accudiva il bestiame nella masseria di famiglia. Mucche, nella fattispecie. Qualcun altro era in malattia ma preferiva andarsene a caccia sul lago di Lesina, a volte anche con figlio e cane. Poi c’era chi “durante l’attività di servizio, all’interno della sede di lavoro” giocava con armi ad aria compressa “insieme ad un soggetto non dipendente dal consorzio”.

E poi il calcio, il grande classico. Alle 18 del 10 settembre 2016, terza giornata della serie A, a Torino è di scena il Sassuolo e la tentazione è forte. Così anche se era di turno dalle 14 alle 22 a Palude Grande un dipendente, secondo i rilievi effettuati dai finanziari, se ne andava poco prima delle 17 al Bar Migliore di Apricena a vedere Gonzalo Higuain sdraiare i padroni di casa con una doppietta nei primi dieci minuti. Poi c’erano le indennità chilometriche: alcuni dichiaravano di aver percorso migliaia di chilometri per incassare i rimborsi mensili – qualcuno tra l’agosto e l’ottobre 2016 segnava 1.347 km, qualcun altro arrivava a quota 1.928 – ma in decine di casi il rilevatore Gps installato dalla Finanza “non rilevava spostamenti per tale chilometraggio”.

Il consorzio è un ente pubblico, le retribuzioni e i rimborsi vengono pagati con denaro pubblico e quindi, secondo i magistrati, sono “indebitamente percepiti”. Per questo ora i dieci dipendenti sono a processo per truffa e il consorzio si è costituito parte lesa. Il 21 novembre si è celebrata la prima udienza, subito aggiornata al 30 gennaio per l’apertura del dibattimento.

Oggi Ciavarella ha un contratto da idrovorista, ma da quando è partita l’indagine “l’azienda ha cominciato a farmi la guerra“. “Mi hanno mandato quaggiù a Palude Grande – racconta – ci siamo io e una sedia, e basta. Sono rimasto tutta questa estate senz’acqua, e qui c’erano 40 gradi”. Ma cosa chiede all’azienda? “Vorrei lavorare in un posto dignitoso ed essere trattato come tutti gli altri”. IlFattoQuotidiano.it ha contattato il consorzio e la dirigenza non ha ritenuto opportuno rilasciare commenti.

Twitter: @marco_pasciuti

m.pasciuti@ilfattoquotidiano.it

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