Guadagnano tutti un pochino, non ci rimette nessuno. Messa così, l’assegnazione dei contributi pubblici allo sport per il 2020 può essere considerata la soluzione di tutti i mali. In realtà la prima, vera “manovra” fatta da Sport e salute, la nuova società governativa che deve gestire soldi e potere al posto del Coni, è un po’ una rivoluzione a metà: rispetto al passato, viene eliminata la quota discrezionale a disposizione della giunta e del suo presidente, che era stata malignamente ribattezzata “tesoretto di Malagò” dai suoi detrattori. L’algoritmo che decide gli importi, però, è lo stesso di prima, e soprattutto continuano ad esserci i vecchi “paracadute” per evitare tagli dolorosi alla grande FederCalcio. Così il pallone alla fine si ritrova con in mano la stessa, identica cifra dell’era Coni.

Con un’applicazione “pura” della formula il calcio, che già ha visto le sue risorse più che dimezzate nell’ultimo quinquennio, avrebbe perso milioni, come rivelato da una simulazione pubblicata dal Fatto Quotidiano. A torto o ragione, il problema è sempre stato questo. Malagò l’aveva affrontato alla sua maniera: ritagliandosi una quota discrezionale per aiutare chi ne aveva bisogno. Sabelli, ingegnere rigoroso poco propenso alle contrattazioni amicali, l’ha risolto fissando due paletti oggettivi: nessuno può salire più del 25%, nessuno può perdere rispetto al 2019. E soprattutto, per poterli applicare, recuperando più risorse rispetto al passato. Questo è il merito più grande dei primi mesi di gestione di Sport e Salute. Sono circa 30 milioni, sforbiciati qua e là dal vecchio bilancio Coni servizi, con cui è stato possibile fare questa moltiplicazione dei pani e dei pesci: dare qualche spicciolo in più a chi ne ha diritto, senza penalizzare il calcio.

E’ quello che successo. La Figc resta a quota 36 milioni, esattamente come nel 2019. A festeggiare sono soprattutto le grandi Federazioni, che poi sono anche quelle che più hanno appoggiato la riforma anti-Coni: pallavolo, la FederTennis di Angelo Binaghi, la FederNuoto di Paolo Barelli, ma non solo. Come si evince dalla tabella, ci sono anche alcuni insospettabili, come baseball, ginnastica, tiro a segno, sci nautico. Ce n’è per tutti. E a fine 2020 potrebbe arrivare un’altra tranche, se verrà confermato il bonus di circa 60 milioni extra del 2019.

Accantonato il malloppo, ci sono sicuramente più conferme che novità. Una delle poche, ad esempio, è l’introduzione di un vincolo di destinazione d’uso di una piccola parte delle risorse: il 5% dei contributi federali dovrà essere utilizzato per finanziare “Sport di tutti”, progetto rivolto al sociale che permetterà a under 18 o over 64 di accedere gratuitamente due volte a settimane alle strutture di società e associazioni dilettantistiche aderenti all’iniziativa. Per gli enti di promozione la quota cresce al 30%. Così il progetto potrà contare complessivamente su 25 milioni di euro nel 2020, e raggiungere almeno 40mila persone.

Per il resto, l’impianto è lo stesso, come l’algoritmo. La motivazione ufficiale è che entrando nell’anno olimpico (mancano pochi mesi a Tokyo 2020) sarebbe stato pericoloso fare sconvolgimenti eccessivi. La sensazione, però, è che restino alcuni problemi di fondo che nemmeno la nuova era di Sport e salute ha cominciato ad affrontare. Di rendicontazione (parola a cui tutte le Federazioni sono allergiche) ancora non si parla. E poi ci sono i soliti costi fissi dei “carrozzoni” federali: per la prima volta Sabelli ha eliminato la distinzione tra “parte sportiva” e “funzionamento”, istituendo un unico fondo di risorse tutto soggetto all’algoritmo, ma cifre e percentuali dei contributi restano più o meno uguali. Lo stesso vale per i correttivi alla formula: prima discrezionali, ora oggettivi, alla fine i numeri che escono sono simili. Come a dire: è cambiato il metodo, non il risultato. E poi, ovviamente, la persona che distribuisce i soldi. Non c’è più Malagò. In fondo, anche questo era uno degli obiettivi della riforma.

Twitter: @lVendemiale

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