“Non dimentichiamo da dove veniamo: siamo quelli del 1992“. Un lungo post su facebook per ricordare quando lui e il collega Nino Di Matteo avevano paura del Consiglio superiore della magistratura. Ed ora che del Csm sono membri togati eletti dai colleghi hanno il dovere morale di stare vicino ai magistrati che si sentono soli “e fare in modo che essi non provino mai, neppure per un attimo, quella stessa sensazione”. Sta facendo discutere il mondo delle toghe lo scritto di Sebastiano Ardita, consigliere del Csm eletto da Autonomia e Indipendenza, la corrente creata con Piercamillo Davigo dopo la scissine di Magistratura Indipendente. Ex procuratore aggiunto di Messina e Catania, già apprezzato dirigente del Dipartimento autonomia penitenziaria, Ardita è stato tra i primi sponsor della candidatura a Palazzo dei Marescialli del pm Di Matteo, sostenuto da indipendente dalla corrente di Davigo.

Estromesso dal gruppo stragi della procura nazionale antimafia per un’intervista sulle stragi in cui non aveva fornito alcuna notizia riservata, Di Matteo era finito sotto procedimento disciplinare già nel 2013 per un’altra dichiarazione alla stampa: aveva commentato l’irrilevanza penale delle intercettazioni tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano. Intercettazioni di cui già aveva dato notizia un altro periodico. Erano i mesi dell’offensiva del Quirinale contro la procura di Palermo, che indagava sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, con il conflitto di poteri sollevato dal Colle davanti alla corte costituzionale. All’epoca Di Matteo aveva scelto proprio Ardita per farsi difendere davanti al Csm. “Sono passati 6 anni da quei momenti terribili. Anche se ci sembra ieri”, ricorda il magistrato. “Prima le minacce di Totò Riina, poi l’inizio di un procedimento disciplinare, infine la condanna a morte del capo di cosa nostra registrata in diretta. In mezzo a questo caos Nino mi chiese di assumere la sua difesa nel procedimento disciplinare. Non era solo una difesa tecnica, era la difesa dei magistrati della nostra generazione del 1992, di quelli arruolati poco prima delle stragi e mandati in campo aperto a combattere una battaglia che era iniziata con le bombe, ma che ben presto non aveva riguardato più soltanto mafiosi che sparano. Era la difesa di una posizione assunta a tutto campo, rispetto alla quale ad un certo punto stavamo perdendo di vista da dove venisse l’insidia. Come poteva accadere che tanti prendessero le distanze di fronte alle solitudine di chi combatteva sullo stesso fronte e contro gli stessi nemici di Falcone e Borsellino?”

Ardita, oggi presidente della Prima Commissione del Csm, quella che si occupa di incompatibilità, ricorda quei mesi di isolamento. “Molti, anche alcuni colleghi, iniziarono a salutarmi freddamente, come se mi fossi messo in una battaglia persa e sbagliata. Si, percepivamo solitudine ed anche abbandono. E temevamo che in quel silenzio potessero essere tirate fuori questioni formali che, togliendo credibilità professionale, avrebbero potuto far venire meno l’ultimo presidio – quello delle Istituzioni e dei cittadini contro l’isolamento . Nello stesso periodo anche a me è capitato di finire a causa del mio lavoro sotto un fuoco di accuse incrociate, rivoltemi da personaggi diversi ed apparentemente distanti. E mi sono dovuto difendere e dare giustificazioni. Si, per un attimo abbiamo avuto paura del Csm, dove entrambi per ragioni diverse abbiamo temuto di finire gravati da accuse che ritenevano ingiuste, mentre avevamo solo fatto il nostro dovere; ma poi tutto è andato bene grazie alla posizione assunta dalla Procura generale della Cassazione”, continua l’attuale consigliere del Csm. “Oggi a sei anni di distanza il destino ci ha dato in sorte di stare entrambi seduti lì: esattamente uno di fronte all’altro, in costante contatto visivo per condividere sensazioni, complicità, ironie. Ma non potremo mai dimenticarci di quando ci sentivamo soli e avevamo paura del Csm. Abbiamo perciò oggi un grande dovere morale: quello di stare vicini ai Pm e ai giudici che si sentono soli, e fare in modo che essi non provino mai, neppure per un attimo, quella stessa sensazione. Abbiamo il dovere di impedire ciò e di non dimenticare neanche per un attimo come eravamo”.

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