Lo scorso 7 agosto su iniziativa parlamentare viene depositato in Senato il disegno di legge 1461. Un tema a me particolarmente caro: il riconoscimento del caregiver familiare. Leggo con estrema attenzione, mi confronto, rileggo varie bozze, rifletto e non va.
La prima domanda è la seguente: il caregiver è nominato dall’assistito, ma se l’assistito non può farlo? Siamo certi che ogni assistito sia in grado di esprimere una volontà? Orbene, si rifletta sull’amministratore o sul tutore legale. Qualcuno ha considerato che solitamente amministratore e caregiver coincidono? Con un po’ di amaro in bocca vado oltre per scoprire che si propongono tre anni di contribuzione figurativa.
Qui sale la rabbia. Penso alla mia storia personale e a quella di tantissime madri che hanno dovuto lasciare il lavoro. Penso alla mamma insegnante precaria che, a causa di assegnazioni scomode, ha mollato il lavoro 26 anni fa. A lei diamo tre anni di contributi e possiamo liquidarla con un bel grazie da parte della società. Penso alla mamma che aveva un negozio di articoli per bambini e che ha chiuso l’attività nel dolore assordante per accudire un figlio che con dei bambini non avrebbe mai potuto condividere giochi. Anche a lei lo schiaffo di tre anni di contributi figurativi che sembrano una pernacchia.
Penso a quella signora che lavorava in nero – perché è scomodo da raccontare, ma moltissime caregiver lavorano così proprio a causa di leggi che proteggono i forti e massacrano i deboli. Si potrebbe pensare quasi a un regalo di tre anni di contributi. In realtà per lei saranno totalmente inutili perché da soli non le produrranno alcun beneficio. Non potrà sommarli a contributi che non ha e non potrà monetizzare nell’immediato assolutamente nulla. Le si ricorderà però che a lei nessuno ci pensa.
Il lavoro occulto è una piaga sempre, ma lo è ancor di più rispetto a lavoratori fragili che vivono sotto la costante minaccia di doversi dividere a discapito della stessa sopravvivenza economica tra un lavoro sottopagato e un figlio o un familiare da accudire perché non autosufficiente.
Però forse possono essere utili a quella persona che lavorava a tempo determinato perché è come se avesse lavorato tre anni in più? No. Ancora una volta il lavoratore fragile è discriminato. Assentarsi per accudire un familiare implica la perdita definitiva di quel posto di lavoro a scadenza. La missione dell’accudimento non ha un tempo, non possiede un confine, segue la priorità della vita stessa dell’assistito al quale si è affettivamente legati. Quel caregiver resterà senza lavoro, senza disoccupazione, senza priorità nel collocamento, senza possibilità di riciclarsi per tutti gli anni di cura. Quei tre anni di contributi figurativi saranno una medaglia al valore non riconosciuto.
Gli unici ad avere un beneficio saranno i dipendenti a tempo indeterminato di realtà medio-grandi. Una minima parte che ovviamente va garantita, ma che forse non è prioritaria rispetto l’artigiano, il negoziante, la casalinga, l’inoccupata, la precaria ecc. Una farsa. Nessuna forma di tutela vera, solo una menzione speciale che ributta il 95% dei caregiver nel beato limbo della battaglia per sopravvivere anche oggi. Perché essere caregiver è un incarico a tempo indeterminato, di solito lungo quanto la vita dell’assistito.
Il risultato è sempre lo stesso: aiutare chi un lavoro lo ha già agevolandolo con un bonus di tre anni e dare un bel pugno in piena faccia a chi ne ha più bisogno. Possibile che nessuno abbia vissuto una vita reale per fare due conti da caregiver? Si prevedono moltissimi interventi, ma non ad esempio l’immissione nelle liste obbligatorie per l’accesso al lavoro ove l’assistito sia inabile al lavoro. Non si parla di reversibilità o di pensione per chi assiste un familiare anche 30, 40 o 50 anni consecutivi. Alla morte dell’assistito, magari inabile al lavoro e quindi titolare solo d’invalidità e di accompagno, il caregiver – magari proprietario di una casetta ricevuta in eredità – non avrà diritto neanche all’assegno sociale.
Non sono una giurista, ma sono una caregiver. Ringrazio per il tentativo, ma non porta nessun vantaggio sostanziale una simile previsione normativa. Ciò che porta è invece un farraginoso iter burocratico per il riconoscimento, ove questo risulta anche abbastanza superfluo. Auspico seriamente una profonda rivalutazione che tenga conto di una realtà che qui, con grande rammarico, io non ho trovato.
Riconosco però la bontà del tentativo che arriva dopo anni di battaglia e di lotta vera condotta da caregiver che faticano anche a trovare tempo e modo per esprimere quel basilare diritto di sciopero e di manifestazione della propria libera idea. Il caregiver è a oggi imbavagliato e stretto nei suoi imprescindibili doveri e muove la sua battaglia appoggiato alla disperazione della consapevolezza che ancora c’è tanto da fare. Lavoriamo e raggiungiamo un risultato fruibile a chi ha più bisogno. Partiamo dalla base.
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