Ai festeggiamenti del 70esimo anniversario della Repubblica Popolare si presenta da seconda economia al mondo. È la prima destinazione di esportazioni per 33 Paesi, e la maggiore fonte di importazioni per 65 Paesi, secondo McKinsey. Tra il 2015 e il 2017 è stata seconda per ricezione di investimenti e per investimenti diretti esteri. È il maggiore produttore manifatturiero del mondo. Ma in questo comparto la Cina giunge al compleanno con i peggiori risultati degli ultimi 17 anni. Il Pil nel secondo trimestre è cresciuto del 6,2%, rispetto al 6,7% di un anno fa. Con la guerra commerciale con gli Usa che vede già in calendario nuovi dazi, la crescente pressione economica e finanziaria sulle famiglie, allo studio del governo, e preoccupanti segnali di una bolla immobiliare, per mantenere l’andatura delle proprie locomotive Pechino è pronta a mettere a rischio anche il rispetto degli obiettivi climatici.

Il rallentamento della crescita – “È molto difficile una crescita della Cina del 6% o maggiore”, ha detto il premier cinese Li Keqiang in un’intervista ai media russi, puntando il dito contro il rallentamento della crescita globale, e l’aumento del protezionismo e dell’unilateralismo. Con le pressioni sul commercio il dato a pesare è quello della produzione industriale, che ad agosto è cresciuta del 4,4% annuo, a fronte del 4,8% di luglio e del rimbalzo al 5,2% atteso invece in media dagli analisti. È il valore più basso da febbraio 2002. Sempre ad agosto il Purchasing manager index (Pmi) del settore manifatturiero cinese si è fermato a 49,5 punti, dai 49,7 di luglio, indicando una contrazione. Al ribasso anche le importazioni di componenti per l’industria: ad agosto giù del 5,6% rispetto a un anno fa, all’ottavo valore negativo degli ultimi nove mesi.

La guerra commerciale con gli Usa – Le imposte scattate a settembre e in arrivo a dicembre del 15% sulle importazioni cinesi degli Usa vanno ad applicarsi su beni per complessivamente 282 miliardi di dollari. All’Assemblea generale delle Nazioni Unite il ministro degli esteri Wang Yi ha allargato il perimetro del problema: “Dazi e provocazioni commerciali possono portare il mondo in recessione”. Donald Trump aveva posposto di due settimane l’applicazione di ulteriori tariffe in partenza il primo ottobre, per omaggiare la ricorrenza della Repubblica Popolare, e il 10 ottobre riprenderanno i negoziati. Ma l’amministrazione Usa non esclude nuove drastiche misure per aumentare la pressione sulla controparte, tra cui anche il delisting delle aziende cinesi a Wall Street.

Le prime difficoltà del mercato interno – Per sostenere la liquidità la Banca Centrale ha tagliato per la terza volta quest’anno la riserva obbligatoria delle banche, liberando 900 miliardi di yuan, oltre 126 miliardi di dollari. Ha tagliato anche i tassi a breve termine portandoli dal 4,25% al 4,20%, lasciando tuttavia inalterati i tassi a cinque anni, riferimento per i mutui. Con una popolazione che si avvicina agli 1,4 miliardi di persone, il mercato interno rappresenta il driver principale di sviluppo, con i consumi responsabili del 75% della crescita economica. La fiducia dei consumatori complessivamente resta elevata, secondo le stime di Nielsen a 115 punti, dunque in zona positiva rispetto alla propensione a spendere, alle prospettive del proprio lavoro e delle finanze personali. Ma a maggio la vendita dei beni di consumo è cresciuta solo del 6,8% in termini reali, ai minimi dal 2004 e qualcosa si nasconde dietro l’ottimismo popolare. La Banca Popolare Cinese ha così deciso di lanciare un’indagine che inizierà a metà di ottobre e che coinvolgerà 30mila famiglie, per rilevare l’entità del debito privato e valutare l’esposizione alla volatilità del mercato, in particolare quello immobiliare. Le interviste verranno condotte nelle sedi della banca e ai partecipanti verrà chiesto reddito, spese, attività finanziarie, mutui e altre forme di debito. I risultati verranno utilizzati dal governo per comprendere la solvibilità delle famiglie cinesi e in futuro influenzare la politica economica.

La mancata crescita dei redditi – Secondo la Shanghai University of Finance and Economics, il debito privato, che include mutui e carte di credito, nel 2013 rappresentava circa il 30% del Pil, giunto al 44,4% nel 2016. Le ultime stime per il 2019 dell’Institute of International Finance portano questo dato al 52,6 per cento. L’indebitamento, cresciuto in media annualmente del 23%, non ha pareggiato la crescita dei redditi, ferma a una media del 12 per cento. “Le persone avevano alte aspettative sulla crescita del proprio reddito, e così hanno preso in prestito denaro da spendere per i consumi, per una vacanza o per l’acquisto di una nuova casa”, ha detto al South China Morning Post l’ex shadow banker Joe Zhang, oggi nel business dei crediti disastrati. “A causa della stretta al credito dello scorso anno, è cresciuta anche l’insolvenza”. L’ottimismo non basta, e la classe media inizia a essere sotto pressione, con una disoccupazione che ha toccato il 5,3% e ai massimi da due anni.

La bolla immobiliare – Lo sviluppo urbanistico ha guidato negli ultimi anni l’economia cinese, il real estate rappresenta il 15% del Pil. Le case, bene rifugio, hanno visto una crescita media dei prezzi del 10% annuo, ma molte oggi restano vuote. “Una bolla immobiliare si sta espandendo in molti posti della Cina”, ha dichiarato Chen Gong, direttore di ricerca del think tank indipendente Anbound Consulting. “I prezzi iniziano ad apparire abnormi rispetto al reddito dei residenti”. E i costruttori soffrono la contrazione del mercato. China Evergrande Group, il secondo sviluppatore immobiliare cinese, ha registrato nei primi sei mesi la metà dei profitti rispetto allo scorso anno. Dati della Centaline Property Agency mostrano che il 45% delle società immobiliari quotate ha chiuso con delle perdite i primi sei mesi. Le vendite di terreni che lo scorso anno rappresentavano il 28% delle entrate pubbliche, nel primo trimestre si sono fermate al 10 per cento.

Aumentano le emissioni di Co2 – Nonostante tutto, si continua a costruire. Le vendite di escavatori crescono senza sosta, del 19,5% ad agosto secondo la China Construction Machinery Association. Così come quelle di scale mobili e ascensori, del 18 per cento. Nella prima metà dell’anno, rispetto al 2018, è cresciuta la domanda di petrolio e gas, così come la produzione di cemento, del 7 per cento. La Cina è il primo Paese al mondo per emissioni di Co2. Controlli meno rigorosi per industrie come quelle del cemento e dell’acciaio hanno contribuito alla crescita del 4% dei livelli di Co2 nei primi sei mesi dell’anno. “Con l’economia sotto una pressione al ribasso, il Paese deve prendere più misure per garantire occupazione e sostegno alla gente”, ha detto Li Gao, direttore del dipartimento sul Cambiamento climatico al Ministero di ecologia e ambiente, come riportato da Reuters. “Alcune di queste misure possono non corrispondere al nostro impegno per combattere il cambiamento climatico”.

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