La storia

Sul “ribaltone politico di Ferragosto”, che quest’anno ha sconvolto l’italica usanza dei nostri vacanzieri, politici e non, e che comunque costituisce una primizia anche per il nostro machiavellico modo di gestire le attività istituzionali, si è già scritto di tutto. Un tutto però che ciascuno ha raccontato secondo i suoi gusti e le sue convenienze, lasciando quindi nel pubblico dubbi e sospetti sia sulla sua genesi che sulla sua diagnosi.

Nella genesi è scritto di un governo della nazione nato da un sofferto “parto cesareo” concordato tra due genitori (M5s e Lega) che non si erano mai amati. La diagnosi è ancor più misteriosa perché l’abbandono del “tetto coniugale” è avvenuto repentinamente proprio da parte del coniuge (la Lega) che più aveva guadagnato (in consenso popolare) da quel bizzarro connubio.

Le mosse “geniali”

Dopo un breve periodo di giorni, durante i quali i due contendenti si sono inviati l’un l’altro le accuse più infamanti e tutti i partiti (meno quelli cui non conveniva) reclamavano dal presidente Sergio Mattarella il rispetto degli elettori e l’immediato scioglimento delle Camere per tornare al voto, ecco riemergere dal limbo l’ex enfant prodige della nostra politica, il Matteo-1 (Renzi), in origine catapultato nelle cronache come il “rottamatore” della vecchia classe politica, ma presto scaduto nei favori popolari per la sua esuberanza caratteriale, l’esagerata onnipresenza e la mancanza di serietà nelle promesse. Aveva raggiunto l’apice della popolarità entrando da trionfatore a Palazzo Chigi, ma poi non ha saputo controllarsi e ha voluto strafare, cadendo vittima di se stesso. Dal mio punto di vista, il fondo lo ha toccato con la proposta legislativa dello Ius soli.

Non ha capito che su quell’argomento occorreva molta moderazione, non molto entusiasmo. Ha capito tutto invece (a modo suo) il suo omonimo Matteo-2 (Salvini) che, all’opposto, da ministro dell’Interno del primo governo Conte, ha praticato la più efferata politica di accoglienza mai attuata in una democrazia moderna, raddoppiando però il suo consenso popolare. Ma anche lui, illuso da quel consenso, ha commesso l’errore madornale di cercare l’incasso elettorale attraverso elezioni anticipate, dimenticando che non compete a lui quella decisione.

Non ha però perso tempo il Matteo-1 a vendicarsi quando ha visto l’altro Matteo isolato in attesa di un voto popolare che nessuno gli aveva garantito. Benché non avesse ricevuto alcun mandato politico a trattare, ha contattato i leader grillini e, senza riflettori, ma con pieno successo, li ha convinti a cambiare maggioranza senza passare dal voto.

Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio ringraziano, mentre la coppia dei due “cecchini” (che si sono sparati sui piedi) fuma rabbia da tutti i pori per aver perso quel potere che intanto li ha disarcionati. Ma non se lo sono meritato questo epilogo?

Il godzilla arcobaleno

Ma c’è un terzo attore di peso in questa rappresentazione “teatrale” della nostra politica nazionale: è Beppe Grillo un attore vero, un comico, però anche l’ideatore e fondatore del M5s. Lui si e è subito buttato a testa bassa nello spiraglio governativo aperto dai due “Mattei” e, senza badare ai ruoli assegnati, ha deciso per tutti cosa deve fare il Movimento, chi starà al vertice e chi dovrà mettersi da parte.

La decisione strategica da lui scelta non fa una grinza, ma quel vezzo autoritario non è per niente compatibile con una democrazia che vorrebbe essere “diretta”. Il “vaffa” può essergli congeniale, ma adesso è ora che siano i suoi a servirglielo.

La democrazia diretta è impossibile e sono proprio loro a dimostrarcelo con periodiche dimostrazioni di grave insufficienza democratica ancor più che organizzativa. La prima l’ho sperimentata personalmente la scorsa primavera partecipando alla pretenziosa messinscena delle Euro-Parlamentarie, che hanno partorito nient’altro che il solito modo verticistico di nominare i candidati e poi chiedere alla tifoseria di base un consenso che non manca mai in quelle sedi. Ho raccontato la mia esperienza qui.

Stessa cosa nel voto di questi giorni per dire sì o no a fare il governo col Pd. Cosa sarebbe successo se avesse vinto un NO che avrebbe potuto innescare un pericolosissimo scontro istituzionale ad altissimo livello?

Il Conte che conta

L’endorsment trumpiano sul nome di Giuseppe Conte riconfermato a premier è la cosa più strana di tutta la faccenda. Nessuna obiezione sulla persona di Conte, ma Donald Trump, che approva a scatola chiusa un premier che guida un partito ex comunista, campione della sinistra europea, unito in coalizione con un Movimento saldamente in mano ai campioni mondiali della “democrazia diretta”, davvero non accende nessun campanello d’allarme su cosa vuole in Europa la potenza americana? Basta vedere il tifo che fa quotidianamente Trump per la Brexit per capire cosa vuole Trump in Europa.

Epilogo

Il M5s ha lavorato bene in questo primo anno di governo, molto di più potrà fare nell’alleanza col Pd, erede della vera sinistra: l’importante è che continui a mettere al centro del suo interesse i cittadini, non il partito (e tanto meno i suoi leader che, per quanto bravi, devono sempre ricordarsi che loro sono solo gli amministratori non i padroni).

Il Pd deve tenere in quarantena ancora per tutta una legislatura il suo leader più prestigioso (Renzi) e disintossicarlo completamente dalle sue brame di gloria e di potere. Soprattutto deve capire che in politica un leader che fa promesse a vanvera non è un leader e, se ha successo, è solo perché è un buon oratore, può diventare un bravo attore ma non sarà mai un bravo politico.

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