Leggo dei bisticci e dei “rialzi della posta” da parte delle forze politiche italiane, impegnate a dare un governo al Paese. E mi torna alla memoria quello che mi ha raccontato poche settimane fa, una sera, a bordo di Mediterranea, attivista della “Lega tunisina per i diritti umani” (organizzazione insignita del Premio Nobel per la pace 2015).

“La nostra Costituzione è recentissima, del 2017. Dopo la caduta di Ben Ali le forze politiche hanno iniziato a combattersi. Non era facile che si trovasse un accordo tra Ennahda (il partito islamico) e Nida Tounes, il partito secolarista, per procedere alla creazione della nuova repubblica tunisina. Ma serviva che gli esponenti politici trovassero un accordo, scrivessero insieme la nuova Costituzione, dunque aiutassero il Paese invece che se stessi. E fu la gente a scendere in piazza chiedendo proprio questo. Non scesero in piazza fazioni, in quel difficile 2014, nessuno urlò per affermare la propria bandiera. Il popolo tunisino manifestò imponendo alle forze politiche di dialogare, accordarsi, agire in concordia per il bene del Paese”.

Oumayma Janbouni mi ha raccontato che da quel momento, sotto la forte e unita spinta popolare, il partito islamico Ennahda ha avviato un processo di cambiamento verso un partito islamico moderato, e poi ancora verso l’idea di un partito di stampo conservatore, espressione di un islam democratico (primo partito arabo a coniare questo concetto). Un cambiamento di pelle forte e radicale, che ha coinciso con un percorso altrettanto importante per Nida Tounes, capace di dialogare con Ennahda per varare insieme una costituzione moderna e democratica, che pareva impossibile sotto la spinta delle divisioni interne, dell’Isis al confine e di vicini che tramano per il disordine e il caos.

Ma questa è la Tunisia. Quella che molti considerano un paese africano, di gente diversa, che vuole solo venire in Italia e che va tenuta lontano.

In effetti sono molto diversi da noi. Lo prova uno dei tanti fatti accaduti recentemente, nel marzo del 2016, quando una brigata jihadista dell’Isis entrò dalla Libia e prese il controllo della regione di Ben Guerdane, nel sud. L’Isis anche in Tunisia… Era la fine. Ma quel giorno tutti, bambini, donne, uomini, scalzi, mezzi nudi, disarmati scesero in piazza, nelle vie, insorsero contro l’invasore barbaro e fondamentalista, riuscendo a ricacciarlo indietro, cambiando la storia. Furono venti i caduti in quella rivolta, tra cui una bambina divenuta simbolo grazie alla dignità del padre, che in televisione dichiarò con orgoglio: “Non sono triste. Il mio Paese ha più valore dei miei figli”.

Ecco come si costruisce la più salda colonna per reggere il cambiamento. Ecco il popolo di un Paese che sa combattere e che vuole davvero il suo futuro. Ecco le forze politiche che ascoltano e hanno a cuore il proprio Paese.

Ecco a cosa dovremmo ispirarci noi.

(La donna in difficoltà, anziana, forse un po’ folle, che vedete nella foto, l’ho fotografata per le vie di Tabarka, sul confine algerino-tunisino. Somiglia al nostro Paese, stanco, depresso, incapace di reagire, di ridarsi una speranza.)

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