Disputa miope e riduzionista, circoscritta su assuefatti confini tra proibizionismo e legalizzazione, come se la partita per lo sdoganamento si debba (per forza) giocare su sponde contrapposte, delimitate nel dibattito su droghe e tabù, tra consumo di reati e rivendicazioni terapeutiche amputate però di usi esoterico-benefiche e proprietà tradizionali di un enteogeno millenario, strumento di religio e pietas, meditazione e preghiera pure tra taoisti, yogin e sciamani.

Cannabis e spiritualità. Guida all’esplorazione di un’antica pianta maestra (Edizioni Spazio Interiore) nelle venerabili tradizioni risveglia i principi fondamentali di un alleato spirituale vilipeso, fornendo contenuti teorico-operativi su rituali collettivi e relazioni sottili per rivoluzionare la percezione stereotipata di cannabis e marijuana. Miscellanea curata da Stephen Gray (un insegnante di Vancouver dedito al buddhismo tibetano e alla chiesa dei nativi americani), attraverso un accurato assemblaggio di testi, il libro sulla Santa Maria (in modo reverenziale com’è chiamata anche dagli osservanti della Chiesa del Santo Daime) ripercorre la storia nascosta della pianta, inseparabile compagna nelle pratiche ascetiche indiane per sadhu, il ganja in Giamaica, nelle Hawaii come in Cina (il leggendario imperatore Shen Nug la pontificava attorno al 2000 a.C.) fino ai zoroastriani di Persia e i curanderi del Brasile che ancora oggi la amplificano con l’ayahuasca, bevanda di limpiezza per corpo e anima: “A seconda della persona – testimonia un assertore di amazzoniche esperienze con le medicine sacre – la pianta genera effetti diversi. Di solito tendiamo a sottovalutare il potere della Santa Maria perché è conosciuta come sostanza che può essere usata in modo ricreativo”.

L’intento di Gray e degli altri autori del libro, scontato persino nella reclusione il dazio proibizionista per la divulgazione scomoda, è fornire al lettore una bussola autentica, personale e non conforme, sui poteri benefico-sacramentali dell’erba, strumento di auto-esplorazione, cura e pace, in grado di attingere fin nel subconscio tra l’eterico immateriale dormiente, risvegliando lo scarto egoico per l’espulsione mistica. Lo insegna la storia: con questa pianta si possono abbattere blocchi emozionali distruggendo invisibili barriere energetiche, raggiungendo stati non ordinari di coscienza, finendo nell’essenza amplificata del Sé, consapevole, armonica e pacificata.

Come ripeteva pure il saggio medico-antropologo Claudio Naranjo, recentemente scomparso, il cosmo invitto sul caos sarebbe la vera natura del mistero ancestrale: “Quando incontriamo la cannabis con un’intenzione chiara e in uno stato di centratura – scrive nel volume l’autore – la sua capacità chiarificatrice e di amplificazione può far luce sulle illusioni che ancora coltiviamo e nel contempo esortarci a lasciarci andare a uno stato di presenza più profondo e rilassato e con il cuore aperto: una forma di presenza più onesta e più vera. Come accade con altre medicine enteogene, la cannabis può condurre a una condizione di attenzione cosciente e consapevolezza meditativa intensificata ed elevata”.

Se il libro è per tutti, non può dirsi lo stesso per l’uso sacramentale della cannabis, illegale nell’alto valore del Thc (cannabinoide psicotropico): un acceleratore spirituale di trasformazione di coscienza è quanto di più sconsigliato e inadatto per chi nell’evasione frivola cerca un’effimera opportunità di fuga dal proprio disegno esistenziale. La spiritualità della cannabis può portare esattamente in direzione opposta. Perché, come la legge dello specchio insegna, tutto ciò che è fuori, è pure dentro.

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