Qualcuno ha messo in giro una voce: Ricky non ha mai lavorato in vita sua. Non è vero! Ho fatto ben quattro lavori: barista alla Scala per tre mesi, commesso all’Euronics per due settimane, faticatore in un’officina di materie plastiche per 6 mesi e impiegato in un’azienda di trasporti per ben 10 mesi. Fanno, se la matematica non mi inganna, ben 19 mesi e due settimane di lavoro, spalmati su una vita di 50 anni, a voi sembreranno pochi, a me no. Diciamo che anche io mi sono fatto un’idea di che cosa significhi lavorare.

Iniziamo dal barista alla Scala: fui selezionato dal signor Meriggi che gestiva il bar di platea e galleria e tutti i rinfreschi e catering della Scala, era un signore elegante e gentile e venni preso per un periodo di prova. Fui magistralmente disastroso. Venni mandato in galleria, in platea ci stavano i più anziani. Ricordo il panico che mi prendeva tra un atto e l’altro, quando una folla di persone con in mano uno scontrino si avvicinava al bancone per chiedermi un caffè che poteva declinarsi in svariati modi: macchiato caldo, macchiato freddo, con latte scremato, schiumato, marocchino, corretto, decaffeinato. E io andavo in confusione, sudavo, ero terrorizzato, e non mi riusciva di schiumare bene i cappuccini. Per non parlare delle bottiglie di spumante che agitavo perché ero agitato e quando le stappavo innaffiavo i volti stupiti dei melomani. E mi dicevo: Ricky, forse ti riuscirebbe meglio dirigere un’orchestra come il maestro Muti, è sicuramente meno complicato. Una mattina trovai un collega sul tram, stavamo andando al lavoro, e mi disse: “Ieri un cretino non ha chiuso bene a chiave le bottiglie del bar, lo licenzieranno”. Ridemmo di gusto, poi mi accorsi che quel cretino ero io. Fui licenziato con armoniosa gentilezza. Un carriera di barman troncata sul nascere.

All’Euronics resistetti due settimane perché un piccoletto con la faccia perennemente abbronzata mi avevo preso di mira, mi faceva sgobbare, spolverare, e poi : “Ricky, nella pausa pranzo vai a casa a farti una doccia perché puzzi“. Ci rimasi malissimo. Andai a casa e mi feci la doccia. Il giorno dopo la stessa solfa: “Ricky, stessa cosa di ieri, purtroppo continui a puzzare”. Eh no, basta. Mi tolsi il camice e salutai tutti dicendo: “Scusate ma vado a farmi una doccia e anche un pisolino, sapete, mio papà fa l’ingegnere e non ho bisogno di lavorare come voi, ciao a tutti”. Tentarono di fermarmi ma fuori c’era una giornata di sole pronta ad accogliermi a braccia aperte.

Papà mi mandò a lavorare da suo cugino Bruno che aveva un’officina di materie plastiche in zona Corvetto. Dovevo assemblare le scatolette di plastica delle cinture di sicurezza che venivano partorite in continuazione da una macchina che lavorava anche di notte, era un lavoro che mi piaceva perché era monotono, fatto di automatismi, e quindi questo mi permetteva di ripassare gli studi di filosofia. Ma una notte un mio collega “operaio”, tra una scatoletta e l’altra, mi fece: “Sai che sono superdotato? Guarda il rigonfiamento che c’è vicino al ginocchio”. Alt mi dissi, aspetta Ricky, che cosa ci fai alle tre di notte in zona Corvetto, dentro un’officina di materie plastiche, con uno che ti vuole mostrare il suo fallo equino? Il giorno dopo dissi a Bruno che preferivo studiare Pascal e Voltaire e me ne andai, tanto papà fa l’ingegnere, ma negli anni ebbi nostalgia della bottiglia di Zabov che Bruno teneva in un piccolo frigorifero del suo ufficio, caro Bruno, che buono era lo Zabov di notte!

Poi papà ebbe una strana idea: morire. E allora grazie a un mio amico portinaio, originario delle isole Barbados, trovai lavoro presso un’azienda di trasporti, facevo le bolle di accompagnamento merci. Tornavo a casa verso le 22 e la mia compagna mi faceva trovare la cena pronta, mi sentivo un vero lavoratore. Fu un bel periodo, dopo la cena si faceva sempre l’amore. Una sera un camionista buffo, dai capelli gialli, si avvicinò alla mia postazione incuriosito, con la coda dell’occhio vedevo che mi fissava, mentre cercavo di attaccare una linguetta adesiva su una bolla di accompagnamento, mi voltai con aria interrogativa e lui mi disse: “Ma tu, tu, che cosa ci fai qui?”. Già, che cosa ci faccio qui? Avevo guadagnato abbastanza per produrmi un documentario politico sulle elezioni del 2006 tra Prodi e Berlusconi, lo chiamai Qui Milano Libera, e mi licenziai, andando incontro alla mia libertà, tanto papà faceva l’ingegnere, mi aveva comprato casa prima di morire, e senza moglie e figli potevo comunque vivere decentemente senza lavorare.

Ecco, in breve, la storia della mia vita lavorativa. Che non si dica mai più che non ho mai lavorato in vita mia! Ma voi come fate? Andate a lavorare ogni giorno? Ma non avete un papà ingegnere? Dio, vi ammiro tanto, a distanza. E ricordatevi: se qualcuno vi dice che puzzate, prendetelo a schiaffi. Il lavoro nobilita, ma la dignità non ha prezzo.

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