Stimolato da un commentatore che, in sede di discussione del mio ultimo post dedicato a Carola e Salvini, mi chiedeva di occuparmi dei lavoratori della Whirlpool, voglio dedicare qualche considerazione all’argomento, se possibile in un’ottica più generale.

Bisogna prima di tutto augurarsi che i lavoratori della Whirlpool vincano la loro battaglia e che si eviti una nuova spoliazione del Mezzogiorno e del territorio napoletano in particolare che si vedrebbero privati di un importante presidio industriale. Bisogna anche solidarizzare in tutti i modi possibili a tale fine. Ma non si tratta di un caso isolato: la vicenda di questa azienda, al pari di numerosi altri, pone una problematica di enorme importanza, che è quella delle politiche industriali del nostro Paese.

Per potere mettere in campo una politica industriale effettiva, volta a garantire posti di lavoro e patrimonio produttivo, garantendo innovazione e produttività al nostro settore secondario, occorre disporre di strumenti normativi vincolanti e di fondi adeguati a consentire alla mano pubblica di prendere il controllo della situazione qualora i privati, che sono animati in genere esclusivamente dalle prospettive di profitto a breve termine, non vogliano contribuire.

Bisogna quindi rivedere a fondo tutto l’armamentario dei contributi, spesso a fondo perduto, alle industrie che, seguendo i loro miopi calcoli, tendono a delocalizzare, finanziarizzare e chiudere importanti attività produttive. I padroni che perseguono esclusivamente i propri meschini interessi e se ne infischiano dell’economia nazionale e dei lavoratori vanno sottoposti a tutte le pressioni necessarie e come ultima ratio espropriati.

Il tema dei fondi necessari, dal canto suo, richiama quello del fisco. Altro che flat tax! Occorre affermare con tutta la sua forza il principio chiaramente scolpito nella Carta costituzionale (art. 53) della necessaria progressività del fisco. Altrove, come in Regno Unito e Stati Uniti, sono gli stessi miliardari che, sull’onda della confessione di Buffett che ammise di pagare meno tasse della sua segretaria, a chiedere una tassazione progressiva. In Italia, con tardivo provincialismo, Salvini ed altri riscoprono il fascino dell’esenzione fiscale come discutibile strumento di rilancio economico.

Il terzo punto fondamentale riguarda diritti e poteri dei lavoratori. Su questo come su altri piani scontiamo l’operato nefasto del governo Renzi, che ha smantellato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e promosso senza vergogna la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Una parziale correzione di rotta, subito contrastata dalla Lega, è stata attuata con il Decreto dignità, ma molto di più andrebbe fatto.

Tutto questo impegno sulla questione del lavoro è in contrasto con quello per i diritti degli immigrati, come suggerisce qualcuno? Assolutamente no, anche perché il mondo del lavoro è sempre più caratterizzato dalla presenza degli immigrati. Se non si organizzano anche loro, non si potranno raggiungere risultati significativi in determinati settori, come quello agricolo, ma anche quello edilizio e molti altri che vedono oggi una fortissima presenza di immigrati.

Se c’è un insegnamento che possiamo trarre da centinaia di anni di lotte proletarie è che per vincere occorre l’unità. Unità che va costruita in ogni singolo posto di lavoro ma anche a livello generale, superando ogni divisione dovuta al genere, alla provenienza etnica o al settore di appartenenza. Solo in tal modo si potrà costruire, mediante sindacati che svolgano in modo efficace la propria funzione e altre organizzazioni operaie, un movimento unitario di classe nazionale ed internazionale che sappia imporre al governo, al padronato e all’Unione europea, la costruzione di un’economia che sia in funzione della soddisfazione dei bisogni effettivi dei popoli e rispetti dignità e diritti di chi lavora.

Tutte le forze politiche, da Di Maio a Zingaretti, e perfino in certi momenti Salvini, dichiarano di essere a favore dei lavoratori. Ma come si sa tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ovvero un sistema capitalistico che nega ogni giorno ai lavoratori i diritti più elementari. L’unico modo per garantire tali diritti è lottare contro questo sistema, ponendo, mediante una miriade di vertenze e lotte specifiche, le condizioni del suo superamento, che non sarà certo possibile votando questo o quest’altro, fosse pure il più a sinistra, ma organizzando in ogni settore lavoratori e lavoratrici, quale che ne sia l’origine, lo status giuridico e il colore della pelle. Compresi, voglio scriverlo esplicitamente, quei lavoratori della sicurezza (poliziotti, finanzieri, carabinieri, militari in genere) che, al contrario di Di Maio, non provano piacere nel fare i servi sciocchi di Salvini, e vorrebbero recuperare un ruolo degno e umano.

Bisogna aggiungere che invece coloro che sbraitano di sostituzione etnica e fesserie del genere, o sono completamente idioti o sono nemici consapevoli di questa necessaria riorganizzazione dei lavoratori. E quindi al servizio della classe dominante. Come volevasi dimostrare.

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