Colpevole. La Corte Penale Internazionale dell’Aja ha condannato questa mattina il capo ribelle congolese ed ex generale dell’esercito Bosco Ntaganda, 45 anni, per diciotto capi d’imputazione, tredici dei quali sono crimini di guerra e cinque crimini contro l’umanità. Il processo, iniziato il 12 settembre 2015 e chiuso a fine agosto 2018, riguardava nello specifico i fatti accaduti in Ituri, regione all’estremo nordest della Repubblica Democratica del Congo, fra il 2002 e il 2003. Oggi, il verdetto: Terminator – così era soprannominato Ntaganda – è stato riconosciuto colpevole di tutti i capi d’imputazione a lui ascritti. L’entità della pena verrà comunicata in una successiva udienza. Ha dichiarato il giudice Robert Fremr: “La corte considera Bosco Ntaganda colpevole di omicidi, tentati omicidi, di aver diretto intenzionalmente attacchi contro i civili, di stupri, di schiavitù sessuale, di persecuzione e di saccheggi in quanto crimini di guerra e contro l’umanità.”

Lunghi minuti, quelli durante i quali il togato ha elencato i crimini commessi dall’ex signore della guerra: Ntaganda in prima persona ha ucciso un sacerdote e ha ordinato stupri di donne e bambine, fra cui una di soli 9 anni. Durante il lungo procedimento, le vittime riconosciute dalla Corte sono state 2129, di cui 300 ex bambini soldato e 1850 vittime di attacchi delle Forces patriotiques pour la libération di Congo (FPLC), il gruppo di Ntaganda.

Ntaganda, dal canto suo, a suo tempo aveva rigettato le accuse, definendosi un “rivoluzionario” e non un criminale e ricusando l’appellativo di “Terminator”. Ma i numeri raccontano un’altra storia: oltre 60mila persone avevano perso la vita negli scontri e nelle violenze avvenute in Ituri a partire dal 1999, violenze nelle quali le FPLC, il braccio armato dell’Union del patriotes congolais (UPC) di Ntaganda svolsero un ruolo chiave. Senza contare che i crimini per cui è stato oggi condannato riguardano una minima parte della sua “carriera”, che è proseguita indisturbata e coperta da connivenze altolocate per altri dieci anni dopo i fatti ora in esame, seminando morte e distruzione anche nella regione adiacente del Nord Kivu.

Ma chi è Bosco Ntaganda? Non un rozzo tagliagole. Di famiglia tutsi, nato in Rwanda e per questo considerato “straniero” e “occupante” da molti congolesi, si era fatto le ossa nel Front Patriotique Rwandais (FPR) di Paul Kagame, l’attuale presidente del Rwanda. Godeva della reputazione di essere leader carismatico, con un debole per la gastronomia e i cappelli da cowboy. Sostenuto dal Rwanda, aveva combattuto in diversi gruppi armati nell’est del Congo. Dopo i fatti oggi in esame, dal 2007 al 2012 fu generale dell’esercito congolese, da cui si staccò per divenire uno dei membri fondatori dell’M23, un movimento ribelle che destabilizzò l’est del Congo, in particolare il Kivu, sostenuto e finanziato da Rwanda e Uganda (come hanno documentato i rapporti Onu), fino a che le forze armate regolari non riuscirono nel 2013 ad avere il sopravvento, in un’impresa più unica che rara per lo scalcagnato esercito congolese, riuscita sotto la guida del generale Mamadou Ndala, osannato da allora come eroe nazionale e poco dopo assassinato in un’imboscata mai del tutto chiarita. Ma la storia di Ntaganda è sorprendente anche nel finale: a due riprese, infatti, la Corte dell’Aja aveva spiccato un mandato d’arresto contro di lui, nel 2006 e nel 2012, ma le autorità della RDC gli avevano sempre garantito copertura, nominandolo addirittura generale. Fino a che non è stato lui stesso a consegnarsi: quando era numero due del movimento “ribelle” M23, entrò in dissenso con il suo capo, il generale Laurent Nkunda, e per questo prese una clamorosa e tutt’ora inspiegata decisione: fuggì in Rwanda e si rifugiò nell’ambasciata degli Stati Uniti, da dove fu lui stesso a chiedere di essere trasferito all’Aja. Molti retroscena sono forse destinati a rimanere nell’ombra.

Per questo è importante, oggi, il pronunciamento dell’Aja, che condanna Ntaganda, uno dei cinque “signori della guerra” congolesi finora tradotti davanti alla Corte: pur senza riuscire ancora ad andare alla radice dei problemi, ad esibire prove sui mandanti occulti dei massacri, questa sentenza ha il merito di abbattere l’idea di impunità assoluta che per anni ha permesso a criminali d’alto rango di agire indisturbati. Prima di Ntaganda, era stato condannato a 14 anni di carcere Thomas Lubanga, ex capo proprio di Ntaganda nell’FPLC. Ma è la prima volta che viene condannato un personaggio che ha vestito anche i panni di generale dell’esercito. Non solo. La sentenza ha un altro merito: per la prima volta i crimini sessuali commessi contro bambini soldato vengono ritenuti fra i capi d’imputazione. Un altro passo in avanti che potrà dare frutti in altri procedimenti.

La notizia della condanna di Bosco Ntaganda giunge in Ituri durante l’ennesima escalation. Almeno 300mila persone hanno abbandonato i propri villaggi in queste ultime settimane in seguito alle violenze commesse da un nuovo gruppo armato, che ora l’esercito ha annunciato di aver sconfitto con una vasta operazione militare nella foresta di Wago, territorio di Djugu. Molti dei ribelli dispersi dall’esercito si sono però rintanati nei villaggi vicini, seminando ulteriore terrore. Le milizie “Ngoudjolo” hanno ucciso in giugno almeno 160 persone. Il neo presidente della repubblica, Félix Tshisekedi, vi si è recato in visita da pochi giorni e ha parlato di un “tentativo di genocidio” in corso e di un “complotto”, scartando la tesi del conflitto interetnico e garantendo la presenza dell’esercito fino all’eradicazione della nuova milizia.

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