La Tempesta (immaginaria ma non troppo) dentro ognuno di noi. Alla ricerca di quell’isola che non c’è. Un approdo esistenziale in mezzo a tanto dolore. È questa la visione onirica di Luca De Fusco nel brillante adattamento dell’opera shakespeariana, prima assoluta della rassegna Pompeii Theatrum Mundii, andata in scena nella cornice del teatro degli Scavi. Immagina il demiurgo Prospero (uno straordinario Eros Pagni, un ragazzo di 80 anni), chiuso nel suo luogo di studio e riflessione che si trasfigura attraverso un gioco di allucinazioni multimediali. Tra questi l’apparizione/pop di Marilyn Monroe. Le dà voce e corpo una sensuale Alessandra Pacifico. Segnatevi questo nome, perché la ragazza, 28 anni, che da quando ne ha 14 studia teatro, di strada ne ha fatta e ne farà. Per ora, in tournée da San Pietroburgo a Parigi con il maestro De Fusco. La Tempesta è anche un omaggio ai 90 anni del padre del regista, direttore del Teatro Mercadante: “Dopo aver pensato questo personaggio di grande capacità immaginativa, immerso nei suoi libri, mi sono reso conto che il mio Prospero altri non è che mio padre, Renato De Fusco, emerito storico dell’architettura che, dal chiuso della sua biblioteca, ha raccontato, in decine di opere, edifici in gran parte dei quali non è mai stato, ma che ha avuto la capacità visionaria d’immaginare”.

Do ut do
Ancora visioni sono andate in scena nella suggestiva Palestra Grande di Pompei per il vernissage della Biennale Do ut Do, gioco di parole inventato da quel giocoliere della parola Alessandro Bergonzoni e subito adottato da Alessandra D’Innocenzo Fini Zarri, presidente del comitato. “Do” per donare, il dono inteso come opposto del possesso. Gli artisti, gallerie e collezionisti se ne privano per destinarle a raccogliere fondi a sostegno di pazienti affetti da malattie inguaribili e delle loro famiglie (Fondazione Hospice MT). Questa collezione supera anche il senso dell’opera singola e si costituisce come atto d’amore collettivo. Il tema, “La morale dei singoli”, è stato ideato da Alessandro Mendini, uno dei rinnovatori del design italiano, che sarebbe stato il padrino della biennale se non fosse scomparso lo scorso febbraio. La sua sedia/trono in bronzo brunito, realizzata negli anni ’80, è l’icona della mostra. Mentre una donna nuda, seduta per terra, con un cartello appeso al collo, testa bassa, mortificata, è lo scatto schock di Moataz Nasr. Mimmo Iodice, da fotoreporter della Sanità a fotografo cult, immortala un decadente Real Albergo dei Poveri. È il decano della mostra, barba bianca e occhi di un azzurro intenso, Giovanni Gastel lo attovaglia al centro della sua foto “banchetto d’autore” sotto le ali di un angelo. E poi il filosofo Sebastiano Maffettoni con l’attraente vichinga Julia Khran, per i suoi scatti provocatori la critica la vuole come la nuova Vanessa Beecroft. Nell’installazione Mutter si mise tra le braccia un telo bianco come per cullare un bambino che in realtà non c’era. Il fil rouge della sua opera è sempre una “mater dolorosa”, sia che allatta un figlio, sia che abbia un coltello in mano. Stampate su tessuto, alte 5 metri, l’effetto a Pompei è prorompente.


ViVA La France
Sarebbe piaciuta molto a Macron la serata patriottica e autocelebrativa dei 100 anni dell’Institut Francais Grenoble. Fanfare, picchetto d’onore, sfilata di costumi da corte del “Roi Soleil”, quadriglie e inchini danzanti. Laurent Burin des Roziers, console generale di Francia a Napoli, stringeva mani alle autorità gallonate. Tanto Camembert stagionato, bollicine Moet et Chandon e mix della aristo dj AldoinaFilangieri di Candida. Et voilà.

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