Due ginecologhe di Berlino sono state condannate a pagare 2mila euro di multa per aver infranto una legge sull’aborto che risale al periodo nazista, per essere precisi al 1933. Per otto anni, una frase sul sito web di Bettina Gaber e Verena Wayernon non ha provocato indignazione. Poi, in seguito ad un esposto di due membri di un’associazione pro-life, le ginecologhe del distretto di Steglitz sono state processate e condannate per aver violato i termini del paragrafo 219a, diretta conseguenza del 218, ovvero la legge dello stato federale che vieta l’aborto e lo limita ad alcuni casi speciali. Sul sito web dello studio medico si poteva leggere che i servizi di uno dei medici “includono aborti privi di medicine e anestesia”. Questo, secondo la legge citata sarebbe inammissibile, in quanto è vietato fornire informazioni sul metodo.

La legge nazista
Il 219a è un paragrafo di una legge introdotta sotto il nazionalsocialismo il cui scopo era quello di una politica demografica intenta a preservare i geni ariani. Prima di punire l’aborto con la pena di morte, il Terzo Reich ne proibì la pubblicizzazione. Questo andò a colpire i medici, molto spesso ebrei, atei o socialisti. Il legislatore, modificando l’intento nazista, mantenne il paragrafo anche nel 1974, quando si discusse dei termini dell’aborto, con lo scopo di sottrarre alla commercializzazione l’interruzione volontaria di gravidanza.

Il cosiddetto divieto di pubblicità per gli aborti, ha visto una prima controversia già nel 2017. Una corte condannò la ginecologa dell’Assia, Kristin Hänel, a una multa perché aveva dato maggiori informazioni sul suo sito web sugli aborti che praticava. La Hänel ricorse in appello e tra poche settimane si svolgerà il secondo grado di giudizio. Questo processo ha avuto il merito di aprire una discussione nella Große Koalition e, nel febbraio 2019, dopo una lunga discussione, il Bundestag ha riformulato il paragrafo 219a portandolo ai termini odierni. Da allora, i medici sono autorizzati a informare il pubblico che gli aborti fanno parte dei loro servizi, ma tutte le altre informazioni sui siti web sul come vengono svolte queste pratiche sono ancora considerate come pubblicità, di conseguenza vietate. Ed è proprio per questa motivazione che Gaber e Wayernon sono state condannate.

La reazione femminista e la battaglia per un aborto sicuro
Venerdì 14 giugno ad attendere Bettina Gaber e Verena Wayernon davanti al tribunale distrettuale di Turmstrasse, nella zona centrale di Berlino, c’era un folto gruppo di attiviste per i diritti delle donne e per il diritto all’aborto. Le stesse che l’8 marzo scesero a migliaia per le strade della capitale per chiedere la parità tra i sessi e l’abolizione completa del tanto contestato paragrafo. Kerstin Wolter, una delle attiviste del partito Die Linke, sostiene che “il divieto di informare sui metodi dell’interruzione di gravidanza è una sostanziale limitazione del diritto stesso e una stigmatizzazione della pratica che punta ancora alla criminalizzazione dell’atto”, aggiungendo che “bisogna poter scegliere che tipo di aborto effettuare”.

Alle voci critiche si aggiunge anche quella del Centro per i diritti riproduttivi, Center for Reproductive Rights, che accusa la Germania di essere uno dei pochi Stati insieme ad Albania, Grecia, Ungheria, Liechtenstein e Russia a non aver depenalizzato la diffusione di informazioni in merito alle pratiche abortive e che “le restrizioni sui servizi medici e sulle informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva portano alla discriminazione nei confronti delle donne”, creando un “effetto deterrente e scoraggiando gli operatori sanitari ad effettuare la pratica”.

E proprio la modifica recente del Bundestag avrebbe dovuto portare ad una maggiore informazione con la redazione di una lista pubblica dei ginecologi che praticano l’aborto, ma quella disponibile sul sito web del comune di Berlino, lamentano alcune associazioni femministe come Weg mit 219a, non offre dati aggiornati e molti dei nominativi dei medici presenti non effettuano più l’interruzione di gravidanza.

L’aborto in Germania
In Germania, come in altri paesi, l’aborto è un reato che può essere punito con la reclusione fino a tre anni. Ma dagli anni ’70, grazie a diverse riforme legislative è stata introdotta la regola del counselling che consente l’interruzione di gravidanza entro le prime dodici settimane se la donna incinta ha cercato consulenza. Le regole di tale consulenza sono stabilite nella legge 219 alla quale appartiene il paragrafo 219a.

Quello che le varie associazioni si chiedono è come una pubblicizzazione dei metodi possa di fatto portare ad un’incremento degli aborti. “Se una donna decide di abortire non lo fa perché viene a conoscenza dei metodi. Invece, avere la giusta informazione permette di scegliere la pratica che si ritiene migliore”, spiega Gabrielle Cornfert, attivista per i diritti delle donne. Secondo l’Ufficio federale di statistica, dal 2010, il numero di aborti in Germania è diminuito costantemente dagli oltre 110mila aborti a meno di 100mila e solo nel 2017 c’è stato un lieve incremento che ha fatto raggiungere quota 101mila.

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