“Quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – ‘cardinale’ – che evoca il ‘cardine’; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete ‘cardini’ e siete incardinati nella Chiesa di Roma, che ‘presiede alla comunione universale della carità’”. Così, nel concistoro del 14 febbraio 2015, il secondo del suo pontificato, Papa Francesco si rivolgeva ai nuovi cardinali. Ma di uomini che nella loro vita, pur ricevendo la berretta rossa, sono rimasti umili sacerdoti ce ne sono tanti. Tra essi può certamente essere annoverato il cardinale Giovanni Canestri.

A quattro anni dalla sua scomparsa, i familiari del porporato hanno voluto raccogliere in un volume le testimonianze di coloro che hanno conosciuto e collaborato con uomo che ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi nella Chiesa. Il volume si intitola Il cardinale Giovanni Canestri. Testimonianze di una vita (Effatà) ed è davvero un album di ricordi scandito dalle tappe dell’esistenza del porporato e corredato da una significativa galleria fotografica. Non si tratta, però, semplicemente della vita di un uomo e della sua lunga carriera ecclesiastica, bensì attraverso la figura del cardinale Canestri è possibile ripercorrere le tappe più significative della Chiesa cattolica del Novecento.

Piemontese, classe 1918, Canestri frequentò il Seminario Romano. Dopo appena 20 anni di sacerdozio, nel 1961 fu nominato da San Giovanni XXIII vescovo ausiliare di Roma. Fu in questa veste che partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II. Dieci anni dopo, nel 1971, San Paolo VI lo volle vescovo di Tortona. Ma nel 1975 fu richiamato a Roma con l’incarico di arcivescovo vicegerente. Nel 1984 fu nominato arcivescovo di Cagliari, ma la permanenza nell’isola durò appena tre anni. Nel 1987, infatti, San Giovanni Paolo II gli affidò la guida dell’arcidiocesi di Genova, subentrando così a Giuseppe Siri che l’aveva guidata per 40 anni e che per ben quattro volte era entrato Papa in conclave uscendone cardinale. L’anno successivo Wojtyla gli impose la berretta rossa nel concistoro del 28 giugno 1988. “La storia della mia obbedienza”, la definiva Canestri che aveva sempre accettato gli incarichi che i Papi gli avevano dato di volta in volta, in un episcopato altalenante tra Roma, la Sardegna e la Liguria.

“A Cagliari – ha scritto il vescovo di Chiavari, Alberto Tanasini – si trovava bene. Dopo il travagliato inizio del suo episcopato là, dovuto a seri problemi di salute sopravvenuti all’improvviso la vigilia del giorno fissato per l’ingresso in diocesi, aveva trovato un bel clima di famiglia. Non immaginava di doverlo lasciare dopo soli tre anni pastoralmente intensi. L’unica forza che lo mosse fu l’obbedienza al Papa. So per certo (e non da lui) che a chi gli chiese di accettare e di trasferirsi a Genova rispose: ‘Solo se lo chiede proprio il Papa’”. All’epoca quella nomina significava diventare subito cardinale.

“Era piemontese quanto a discrezione, delicatezza, equilibrio, riserbo, determinazione, impegno, tenacia e fermezza, mentre era squisitamente prete romano quanto a generosità, disponibilità, ironia, umorismo, affettuosità, amicizia, semplicità, genuinità. Soleva dire a noi seminaristi e sacerdoti: ‘Un vero prete romano ha sul comodino tre libri: la Bibbia, l’Imitazione di Cristo e le poesie in romanesco del Belli!’”. Così monsignor Franco Camaldo, canonico della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, ha ricordato nel volume il cardinale Canestri facendo una perfetta sintesi di tutte le sue molteplici qualità.

Nel libro sono riportati anche diversi scritti dello stesso porporato che ripercorre alcuni momenti salienti della storia di Roma, in particolare l’occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. “Tra noi preti – scrive Canestri – si sapeva che gli ebrei erano stati ospitati per volere di Pio XII nel Seminario Romano, a San Paolo e nelle Basiliche extraterritoriali. Uno dei nostri confratelli che teneva presso di sé degli ebrei – le canoniche non erano extraterritoriali! – aveva avuto la visita dei militari e da ciò problemi tutt’altro che piccoli. Un altro sacerdote dei missionari di San Vincenzo, don Morosini, aveva portato in casa delle armi e le aveva nascoste dietro alla libreria del convento. I militari, in seguito a spiate, le avevano trovate e lui era stato condannato a morte; neppure Pio XII in persona riuscì a salvarlo”.

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