4. Troppi direttori ed editori da alcuni anni preferiscono incoraggiare chi “scova” tweet e post stando seduto davanti alla sua scrivania. Oppure vanno per la maggiore i cronisti cui il politico, l’avvocato, il magistrato, il poliziotto o l’uomo dei servizi segreti (eccetera) sanno di poter rifilare qualsiasi cosa senza sentirsi fare domande.

5. I social network sono ormai gli spara-slogan più cari ai politici: comodi e a prova di contraddittorio (tanto che persino Facebook ha dovuto chiuderne un tot usati come ventilatore spargi-letame dai fan di alcune aree politiche). Peccato che siano spesso l’unica fonte anche per i media. Invece i giornalisti, preparati sul tema affrontato, dovrebbero sempre verificare e, poi, notare errori, omissioni, contraddizioni, possibilmente in modo documentato.

6. Nei Paesi anglosassoni già da anni si parla di “churnalism“. Il neologismo è stato creato nel 2008 dal giornalista della BBC Waseem Zakir unendo “churn out” e “journalism”. “Churn” significa zangola, la vecchia macchina usata per produrre il burro. “Churnalism” vuol dire, dunque, produzione di notizie senza preoccuparsi della qualità, in una grande fabbrica di copia-e-incolla. Così il giornalismo degenera in una “produzione di massa di ignoranza” (espressione già usata, una decina di anni fa, da Nick Davies, esperto di media).

INDIETRO

Il giornalismo si sta suicidando? Tutto vero. La stampa libera è in via d’estinzione

AVANTI

La Repubblica tradita

di Giovanni Valentini 12€ Acquista
Articolo Precedente

Europee, perché la Rai ostracizza Europa Verde? A noi il bavaglio non lo mette nessuno!

next
Articolo Successivo

Urbano Cairo: “Fabio Fazio a La7? Non ci ho mai pensato e il suo compenso non è affar mio”

next