Imer Omerovic e Senada Sejdovic. Sono questi i nomi dei due bosniaci di 40 anni, genitori di 12 figli, assegnatari regolari di una casa popolare nel quartiere Casal Bruciato a Roma, su cui si sono concentrate in questi giorni le proteste di Casapound e dei movimenti di estrema destra. Imer è un “commerciante di antichità” e di merce usata. Insieme al secondogenito Clinton lavora nei mercatini della capitale con una regolare licenza per il “commercio al dettaglio di oggetti d’arte e antiquariato”. Senada fa la casalinga. Il primogenito, Kenad, lavora in una officina meccanica mentre un’altra sorella spera di diventare parrucchiera. Gli altri figli vanno tutti a scuola, chi alle medie e chi alle elementari. La più piccola si chiama Violetta, ha due anni e in questi giorni è rimasta a Casal Bruciato con mamma e papà, mentre gli altri figli (escluso Clinton) sono andati dagli zii fra La Barbuta e Castel Romano.

Di religione musulmana, Imer e sua moglie Senada sono arrivati a Roma nella prima metà degli anni ’90, dopo lo scoppio della guerra in Bosnia. Nato a Sarajevo, una volta in Italia Imer ha vissuto nelle baracche a Muratella, poi a Centocelle e poi ancora nel campo rom di Tor de’ Cenci. I due si sono conosciuti e sposati a cavallo fra il 1996 e il 1997, continuando a vivere a Spinaceto, finché non sono stati trasferiti a La Barbuta, mentre diversi loro fratelli sono rimasti a Castel Romano. “Non abbiamo precedenti penali”, ci tiene a ribadire lui. “I ragazzi vanno a scuola, a 18 anni prenderanno la cittadinanza. Parlano italiano, leggono, studiano, magari avranno un futuro migliore del nostro. Glielo auguro”. Imer ha fatto domanda per una casa popolare nel 2017, dopo due anni è arrivata l’assegnazione. Il primo giorno di protesta a Casal Bruciato qualcuno ha chiamato i vigili: la sua auto era senza assicurazione. “Non ho fatto in tempo a pagarla, mi dispiace”, dice lui.

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