Rinuncia alla candidatura a sindaco dopo le minacce di morte ricevute. Accade a Parabita, in provincia di Lecce, dove l’ingegnere Marco Cataldo, in passato consigliere comunale di minoranza, ha deciso di non correre per la carica di primo cittadino del comune sciolto per le infiltrazioni mafiose del clan Giannelli e che fino alle elezioni del 26 maggio sarà guidato dai commissari prefettizi, come stabilito dal Tar del Lazio. A gennaio 2019, infatti, i giudici amministrativi hanno respinto l’istanza cautelare presentata dall’ex giunta del sindaco Alfredo Cacciapaglia contro la proroga della gestione commissariale straordinaria.

Nelle ultime settimane, la tensione è salita alle stelle. Oltre a Cataldo, che avrebbe corso per una civica, sono stati minacciati anche gli stessi commissari Andrea Catandori, Sebastiano Giangrande e Gerardo Quaranta. Così la campagna elettorale che avrebbe dovuto far voltare pagina alla comunità, fa ripiombare il Comune in un clima di terrore, portando a un epilogo inimmaginabile in un Paese civile. “Il mio alto senso di responsabilità – ha spiegato Cataldo – mi porta a fare una scelta dolorosa ma che so essere quella  giusta per una comunità da troppi anni dilaniata da divisioni, astio e interessi personali”.

LE MINACCE SUBÌTE – Cataldo era stato destinatario di tre buste spedite a vari indirizzi, anche a casa sua e una delle quali trovata sul parabrezza dell’auto. Una delle lettere conteneva tre cartucce da caccia calibro 12 e un manifesto funebre disegnato a mano che riportava il suo nome e la data del voto, 26 maggio. I tre commissari sono invece stati raggiunti in Comune da una lettera con un foglio scritto al computer: “Chi si fa i cazzi suoi, campa 100 anni. Un amico”.

In seguito a questi episodi il prefetto di Lecce, Maria Teresa Cucinotta, aveva anche convocato un vertice in seguito al quale, parallelamente alle indagine sulle intimidazioni, si era deciso di mettere in atto alcune misure cautelative e di protezione personale per tutelare sia l’incolumità di Cataldo, che quella dei commissari. In un primo momento, l’ex candidato sindaco, aveva manifestato la sua intenzione di non mollare, rafforzata anche dalla solidarietà ricevuta. E aveva ipotizzato che le minacce ricevute fossero legate all’impegno del politico sul caso di Angelica Pirtoli, la bambina di due anni uccisa dalla mafia nel marzo 1991 assieme alla mamma Paola. Dopo oltre 20 anni, il killer è stato condannato.

LE RAGIONI DELLA RINUNCIA – Nelle ultime ore, però, Marco Cataldo ha comunicato il dietrofront. Troppo alta la tensione. “Insieme a tanti esponenti della società civile parabitana – ha spiegato in una nota – avevamo deciso di promuovere una lista civica, che mi vedeva candidato alla carica di sindaco”. E continua: “Il mio impegno sociale e civile, legato soprattutto ai temi della legalità, mi ha portato in questi anni a organizzare iniziative, senza avere mai remore o timore alcuno”. Poi il riferimento alle minacce “che hanno turbato la mia serenità”. Nonostante “i tanti attestati di stima, di solidarietà e di vicinanza dello Stato in tutte le sue espressioni” che “mi hanno dato la forza e la determinazione per andare avanti”.

La decisione finale è arrivata in seguito a un’attenta riflessione sulle conseguenze che questo clima avrebbe avuto sulla campagna elettorale: “Il clima di tensione ed intimidazione ha minato lo spirito propositivo che ha sempre caratterizzato l’agire di tutto il gruppo. Sono convinto – ha sottolineato Cataldo – che Parabita ha bisogno di uscire dall’impasse in cui si trova e, per farlo, ci sarebbe voluta lungimiranza, forza e serenità. Stati d’animo che mi sono venuti a mancare e che mi hanno portato a rinunciare alla candidatura a sindaco”. “Non avrei avuto – ha concluso l’ex candidato – la giusta determinatezza ad affrontare una campagna  elettorale, che avremmo impostato sui temi della legalità e del fare senza scendere a nessun compromesso”.

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