Maurizio Pascali non lavorò a nero per Teresa Bellanova. La sentenza del Tribunale di Lecce mette fine ad una vicenda che, legalmente, va avanti da cinque anni. Ad annunciarlo è la stessa senatrice del Pd con un lungo post su Facebook. “Una vicenda dolorosa – l’ha definita – sul versante dei rapporti umani e professionali, per me inconcepibile. A cui ieri, finalmente, la decisione del Tribunale di Lecce, Giudice del Lavoro, ha messo fine, sancendo come le accuse di Maurizio Pascali contro di me fossero del tutto infondate”. Il “ricorso – ha aggiunto l’onorevole – è stato respinto” e Pascali “condannato alle spese di giudizio”.

Ma facciamo un passo indietro: nel 2014 Maurizio Pascali, ex addetto stampa, denuncia di avere con la Bellanova un accordo di lavoro, senza contratto, pagato mensilmente con fattura. Le accuse sono rivolte sia all’ex sottosegretaria che al collega di partito Salvatore Capone, all’epoca dei fatti anche lui deputato. Pascali sostiene che dei 1500 euro lordi fatturati a fine mese, tra tasse, contributi e altro, ne rimanevano circa 600 euro. L’impegno, però – è sempre la tesi dell’ex collaboratore – era massimo e prevedeva l’invio di comunicati, inviti a conferenze stampa, prese di posizione e dichiarazioni dei due deputati sia in occasione delle elezioni regionali che, successivamente, di quelle comunali e delle primarie di partito e di coalizione. Il rapporto di lavoro vero e proprio comincia nel 2010, quattro anni più tardi scoppia il caso. Nel frattempo, infatti, cambiano le regole e interviene la legge Fornero che bolla le partite Iva con monocommittenza come “fasulle”. E l’ex collaboratore inizia a riflettere sulla sua posizione.

Nulla cambia nei rapporti tra Pascali e la Bellanova – sostenne all’epoca il primo – sino al 2013, quando l’addetto stampa decide di interrompere i rapporti con la deputata. A Pascali di quella esperienza resta una dichiarazione firmata e scritta su carta intestata della Camera dei Deputati, in cui viene confermata la “collaborazione proficua” perché fondata “sulla serietà, puntualità e professionalità”. Qualche mese dopo, nel 2014, tutto il materiale diviene parte della denuncia: per Pascali il suo non era da considerarsi lavoro autonomo ma era equiparabile ad un rapporto di lavoro continuativo. I legali hanno prima cercato un accordo privato, poi una conciliazione davanti all’ispettorato provinciale del lavoro. Ma alla fine, ci racconta la cronaca, il tutto è finito nelle mani della magistratura leccese. Dopo cinque anni dall’inizio della vertenza e dopo 9 dall’inizio della collaborazione, il giudice ha stabilito che la richiesta di Pascali di riconoscere un rapporto di lavoro subordinato, con contratto nazionale di categoria e con annessa differenza economica non corrisposta fino a quel momento (tfr, contributi, indennità, straordinario, eccetera) non era fondata. Fondata, era, invece, la posizione della Bellanova che, respingendo le accuse, sosteneva che Pascali era un collaboratore autonomo.

“Mai e dico mai – commenta su Facebook l’ex viceministra – è intercorso lavoro subordinato né tanto meno forme di collaborazione diversa da quella confermata dal giudice e da me sempre sostenuta”. L’esponente dem, che dice di attendere le scuse di testate e giornalisti, chiede che a porgerle siano anche gli esponenti del M5s perché presentarono nei suoi confronti una mozione di sfiducia “strumentale e infamante”. In questi anni, conclude, “ho sempre ritenuto doveroso mantenere il silenzio, come fa chi ha profondo rispetto della magistratura, ecco perché a quanti dal primo momento mi chiedevano di prendere voce ho sempre risposto con un no”. Nulla, invece, compare sul profilo Facebook di Maurizio Pascali, condannato anche al pagamento delle spese processuali.

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