1. Parla di tutela della dignità personale e di controllo dell’ordine pubblico. E già si parte male, perché le sex workers non sono un problema di ordine pubblico.

2. Si vieta lo sfruttamento soprattutto per le minorenni – e lì ci siamo – e si parla di prostituzione da esercitare come lavoro autonomo. Si dice che il lavoro può anche essere svolto in forma associata, dunque assieme ad altre. Viene ripristinato il reato di adescamento in strada. Praticamente un modo per criminalizzare le prostitute. Quel reato c’era nel codice fascista. Per fortuna poi fu eliminato.

3. Si parla di divieto di turbare quiete, ordine pubblico e “buon costume”. Dunque ancora ci sono termini per cui una prostituta potrebbe essere incriminata. Il quarto comma dell’articolo 2 parla di riservatezza sull’identità del cliente. Dunque le sex workers sarebbero schedate in apposito albo, la loro privacy violata, mentre il cliente viene tutelato. Roba bruttina, non trovate?

4. Si dichiara la liceità dei guadagni, ed è importante, perché al momento lo Stato tassa proventi che per la legge sono illeciti, ma se li tassa dovrebbero essere considerati leciti, dunque ci si comporta stranamente al riguardo. Data quella liceità ecco l’articolo che parla di pagamento tasse, oneri sanitari e previdenziali. E sarebbe bello che le sex workers godessero non solo di pensione ma anche di permesso di soggiorno, se migranti, per la durata del lavoro. Scommetto però che su quest’ultima ipotesi i leghisti non sono tanto d’accordo. Loro sanno solo parlare di riapertura delle case chiuse, cosa che le sex workers non vogliono affatto.

5. All’articolo 4 si parla di questo Albo, nel quale sono indicate le generalità complete delle persone che esercitano tale attività. Dicasi schedatura. Non importa se l’albo è gestito in uffici che non pubblicano le generalità. Di fatto sono rese pubbliche l’attimo stesso in cui avviene la schedatura. Il che è strano per un Paese che non consente la pubblicità delle sex workers su siti, giornali, tv.

6. All’articolo 5 si parla di “Certificato di idoneità sanitaria”. Quel certificato andrebbe aggiornato ogni mese. Se non rinnovato cessa l’attività di vendita di servizi sessuali. Che dire di controlli sanitari per i clienti? Niente. Non si dice niente. E non si parla di sicurezza sanitaria della sex workers. Di obbligo d’uso di preservativi. Non se ne parla affatto.

7. All’articolo 6 si parla di obbligo di esercizio presso case private occupate da uno o più soggetti. Qui si scrive: purché la convivenza sia finalizzata alla sola assistenza reciproca e senza che alcuna delle persone conviventi tragga profitto dall’attività delle altre. Ma se una sex worker vive con un’amica come si separano i guadagni per il loro reciproco mantenimento? I soldi della sex worker possono o non possono essere usati per fare la spesa? Delle due l’una. O si può vivere insieme oppure no.

Al comma tre si proibisce di condividere il luogo di lavoro con i figli, e questo mi parrebbe ovvio. Si stabilisce poi che il proprietario dell’immobile non sia giudicato reo di favoreggiamento. Se si tratta di un affitto e non di cifre relative la mole di affari della sex worker dovrebbe non essere vietato neppure adesso, ma con la legge Merlin in realtà è un vero casino. Bene che non ci siano le case chiuse, ma voler lavorare in casa propria e non in mezzo alla strada, dove si è più soggette a ricatti e sfruttamento, dovrebbe essere un diritto. Quindi in questo caso chi ha scritto la legge ha scoperto l’acqua calda. Salvo per il fatto che il punto di vista è sempre quello di chi vuole difendere l’ordine pubblico e il buon costume e non la sicurezza delle sex workers.

8. All’ottavo articolo troviamo le sanzioni. Altri soldi per le casse amministrative. Da 500 a 10mila euro per quelle che vendono servizi sessuali contravvenendo alle regole scritte nella legge. Vale a dire che si puniscono ancora le sex workers.

9. Una parte della proposta si occupa di punizioni contro sfruttamento soprattutto di minorenni, e va bene. Poi si parla di prevenzione e reinserimento delle prostitute che vogliono smettere. Ma in che modo si previene se non si parla di crisi economica e soprattutto di migrazione criminalizzata? Se le ragazze sono ricattate economicamente, come si fa a prevenire lo sfruttamento? Chi si occuperà del reinserimento? Spero non i preti.

10. All’articolo 11 si parla di divieto per la pornografia minorile e anche di pene per turismo sessuale. Non so quanto possa essere efficace ma effettivamente di turismo sessuale bisognerebbe parlare seriamente. Infine si parla di punizioni a danno di chi induce alla prostituzione.

Il punto resta questo: la proposta è statocentrica, clientecentrica, moralecentrica. Le sex workers non vengono considerate soggetti ma oggetti. Roba da regolamentare per il bene della comunità e non per il bene delle sex workers. Quando la prospettiva è così poco edificante per quelle che rivendicano riconoscimento di diritti nel sex working cosa potrebbe mai andare bene? Fate un po’ voi.

Ps: in ogni caso, per l’8 marzo le sex workers saranno in sciopero.

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Veneto, l’albo per le prostitute tutela i clienti e il buon costume. Non certo le ‘sex workers’

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