di Donatello D’Andrea

Le elezioni regionali in Sardegna, dopo quelle in Abruzzo, hanno emesso un verdetto: il Movimento scende, la Lega sale. Seppur non ci troviamo di fronte a un risultato storico (12%), il partito di Salvini è riuscito a penetrare in Sardegna e a far eleggere un proprio senatore a Governatore. Se non è un successo questo.

Dall’altro lato della maggioranza di Governo, però, c’è chi è in crisi e vaga in cerca di risposte. Luigi Di Maio, leader politico ma non leader carismatico, è stato richiamato all’ordine dalla realtà dei fatti. La propaganda salviniana è risultata più efficace del messaggio grillino. Un messaggio che però negli ultimi tempi è risultato molto ambiguo.

Forse agli elettori non è andato giù il voto sull’autorizzazione a procedere. I più intransigenti e giustizialisti avranno sicuramente avuto da ridire sulla volontà (mascherata poi dalla votazione di 52mila persone su Rosseau) del Movimento di non processare il ministro Salvini, il quale dal canto suo ormai fa il bello e il cattivo tempo all’interno di un esecutivo sempre più a trazione leghista.

Inoltre, la mancanza di un leader capace e carismatico si fa sentire. Purtroppo Di Maio, non incarna la figura forte che un partito con mille teste pensanti richiederebbe. I sondaggi, l’Abruzzo e la Sardegna lo confermano (e si spera che non lo confermeranno anche la Basilicata e l’Europa). Un leader capace non avrebbe mai permesso a Salvini di prendere le redini di questo Governo, di atteggiarsi a premier e di invadere il campo politico di altri ministri solo per il gusto di farlo. Inoltre, perché cercare a tutti i costi un’alleanza (mascherata poi da contratto) con chi alle Regionali corre dietro a Berlusconi, lo stesso che una volta seduto a Montecitorio critica ogni provvedimento che viene fuori da Palazzo Chigi?

Perché il Movimento 5 Stelle, di diritto azionista di maggioranza con un sostanzioso 32,66% permette a Matteo Salvini, azionista al 17%, di fagocitare potere ed elettorato mentre Di Maio guarda sbigottito il crollo del suo castello di carte? Il tutto mentre il Pd e FI se la ridono come se la disfatta del M5s e il successo della Lega nascondessero i loro fallimenti. Il primo, ha incassato l’ennesima figuraccia, mascherata solo dal successo delle liste civiche; il secondo invece, ha perso il 50% dei propri elettori del 4 Marzo. Non credo ci sia tanto da festeggiare.

Il vero problema è la crisi di identità in cui il giovane Movimento 5 Stelle è incappato. Da giustizialista a “salvinista”, da No Tap a Sì Tap, sul Tav poi non ne parliamo (vedi la polemica con Tria). Cosa è successo a quel partito che nel 2013 rappresentò l’ultima speranza di molti elettori stanchi della vecchia politica e dell’ancien régime?

Urge una riorganizzazione, seria e coerente con lo statuto, che interessi i vertici del movimento e tutti i suoi gangli, onde evitare la nascita di una Repubblica mono-partitica (alla Orban) con Salvini presidente e nessuna opposizione in grado di fare scudo. Non perché Salvini sia il male assoluto, ma una “democrazia” con un solo partito al comando e senza nessuno in grado di contrastarlo non la augurerei a nessuno.

Il Movimento 5 Stelle è l’unico partito in grado di tenere testa a Salvini, l’unico a cui gli italiani danno ancora credito. Il Pd – almeno per ora, finché non farà i conti con la realtà – non avrà nessuna speranza di contrastare il nascente predominio del populismo salviniano. Al Movimento non resta che il contrattacco per non sparire come tutti gli altri, ma prima deve fare i conti con se stesso e con una crisi di identità preoccupante e distruttiva.

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