Ho parlato con un uomo dei problemi di quest’Italia. Ci siamo arrivati per gradi, ché non ci si può certo immergere in discorsi così profondi partendo dal fondo. Un pasticcio burocratico ha inclinato la discussione sulla gestione della nostra città, che pendendo ha toccato le politiche per il Mezzogiorno, che protendendosi ha colpito la tessera coi mali del Paese, in un domino un po’ casuale ma che in fondo non lo è quando hai delle opinioni e la voglia di discuterne.

Non serve che vi descriva quest’uomo: per arrivare al senso del mio discorso basterà dire che aveva almeno il doppio e più dei miei anni ma nessuna voglia di desistere dal cambiare il mondo. Direbbero ammirevole. Nelle frasi e negli occhi, la rigida convinzione di sapere esattamente come fare a risolvere le cose. Lui sa, perché lui, in vita sua, ha fatto. Ho stimato la sua voglia, la determinazione di voler prendere in mano ogni situazione. E l’ho odiata. Perché a lui, e a migliaia di altri che ancora dispongono di quest’Italia, non serve prendere in mano le cose semplicemente perché non le hanno mai mollate.

Il nostro è il secondo Paese più anziano al mondo, lo dicono le statistiche misurate e lo conferma uno sguardo superficiale alle scrivanie importanti, agli incarichi dirigenziali, alle università, ai luoghi di cultura, perfino alle associazioni, per non parlare degli enti pubblici: ovunque capelli bianchi. Ci sono, ovviamente, fisiologiche e fameliche e fortissime eccezioni, che finché saranno tali confermeranno la regola.

Signori, non voglio farne una banale questione di pensionamento, di ricambio generazionale, ma di attitudine a una nuova prospettiva: prima di pensare a cosa poter fare per i giovani, pensate se siete pronti a lasciarlo fare direttamente a loro. Inutile dire “largo alle nuove generazioni”, basta fargli spazio. So che sapete come si fa, perché voi, in vita vostra, avete fatto. Ma lasciatevi dire una cosa: se l’Italia è questa, la stessa di cui vi lamentate, vuol dire che se avete fatto, avete fatto male; oppure non avete fatto abbastanza. Baroni nelle università, consuetudini nei negli uffici pubblici, padri-padroni nelle aziende, gavette interminabili, prerogative acquisite, radicamenti. Avete fatto tanto, grazie; ma non vuol dire che dobbiate fare tutto. Non pensate di risolvere l’Italia per lasciarla ai giovani, ma lasciate l’Italia ai giovani perché possano pensarci loro. Dateci un’occasione, non una soluzione; dateci ascolto, non parole.

Costringeteci alle responsabilità, a svegliarci dal torpore in cui ci avete avvolti pieni di preoccupazioni, anchilosati nelle sicurezze che ci garantite. Il vostro amore è egoista. Fermatevi qui, attraverseremo da soli. Non serve che facciate qualcosa per i giovani, serve che lasciate fare qualcosa ai giovani. Spostatevi. Anche per voi è stato così.

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