È risaputo che per far presa sulle persone bisogna comunicare usando messaggi semplici. Tuttavia ciò che è semplice non sempre fornisce una chiave di lettura adeguata per la realtà. Un esempio attuale è quello relativo al coding, la programmazione informatica, di cui si sente parlare sempre più frequentemente. Nella sfera mediatica molti parlano dell’importanza di insegnarlo a tutti gli studenti, descrivendolo come il linguaggio indispensabile per operare nella società digitale: “il coding è il nuovo inglese”.

Messaggio certamente semplice, ma che rispetto agli obiettivi da conseguire è inadeguato e fuorviante. È inadeguato perché dovrebbe riferirsi all’apprendimento dell’informatica e non del solo coding, cioè della programmazione informatica, che è la parte più immediata e operativa. Ed è per questo fuorviante: perché se preso alla lettera, senza collocarlo nel giusto scenario, rischia di creare i nuovi proletari del futuro. Entrerò adesso nel dettaglio della mia osservazione critica, che non vuole affatto svilire il coding ma inserirlo in una corretta prospettiva.

L’informatica è la disciplina scientifica che spiega i meccanismi base del funzionamento e della costruzione di quelle macchine digitali che sono ormai parte integrante della nostra vita. Come ben noto in qualunque settore tecnologico, la realizzazione di un macchinario – tranne nel caso di dispositivi semplici o dell’opera di un creatore geniale – non avviene semplicemente cominciando a mettere insieme dei pezzi.

L’esperienza di secoli ha mostrato che è necessario conoscere le basi scientifiche del dominio in cui si vuole creare la macchina, poi sapere come elaborare un progetto ingegneristico che porti alla specifica delle caratteristiche di ciò che si vuole ottenere e alla definizione di come può essere fabbricato. Infine si passa alla realizzazione. Non c’è proprio altra strada, poi, se si vuole industrializzare questo processo produttivo e renderlo ripetibile e di qualità garantita.

Parlare solo di coding è come dare scatoloni di sbarre, bulloni e piastre di ferro a qualcuno e poi dirgli di costruire qualcosa. Finché questo “qualcosa” è piccolo e semplice non ci sono problemi, ma se si vuole edificare un vero ponte serve qualcosa di più che la semplice abilità nel mettere insieme i pezzi. Con la programmazione informatica, cioè il coding, si hanno a disposizione gli equivalenti digitali di sbarre, bulloni e piastre di ferro e non ci sono problemi nel costruire cose piccole e semplici. Anzi, è molto più facile che per ogni altra macchina, sia perché questi componenti di base sono immateriali, non pesano e non sono ingombranti, sia perché c’è a disposizione un gran numero di componenti anche abbastanza sofisticati che possono essere combinati senza sforzo.

Negli ambienti moderni di coding, qualunque bambino può ad esempio realizzare applicazioni che adesso sono semplici, ma che 50 anni fa erano alla portata solo di centri di avanguardia tipo la Nasa: gli astronauti sono sbarcati sulla Luna usando un sistema informatico di complessità inferiore a quelli che ci sono negli oggetti “smart” intorno a noi oggi. Nessun bambino, invece, può fabbricare da solo una Torre Eiffel, neanche oggi, pur avendo a disposizione tutte le sbarre, bulloni e piastre che vuole.

Vediamo adesso perché il semplice messaggio iniziale è fuorviante: perché da sempre, nella storia dell’umanità, il livello operativo della forza lavoro è stato quello più debole nei contrasti sociali e soggetto all’evoluzione tecnologica. Negli ultimi secoli, successivamente alla transizione da una società agricola a una industriale, si è capito che l’istruzione è fondamentale per consentire a tutti una vita lavorativa soddisfacente nel tempo. E in effetti negli ultimi decenni, in tutti i Paesi avanzati, si insiste su durata e qualità della formazione scolastica e universitaria. Nell’Italia degli anni 50 e 60 i figli delle classi meno abbienti sono stati portati a studiare e laurearsi proprio in quest’ottica, che rimane quella corretta per la crescita sociale ed economica.

Siamo adesso nella fase di transizione da società industriale a società digitale. Le nuove macchine sono ben più sofisticate di quelle industriali, sono “macchine cognitive”, ma i problemi di base del lavoro rimangono. Anzi, con l’accelerazione del progresso tecnologico stanno già emergendo. La sofisticazione di quelle tecniche informatiche che vanno generalmente sotto il nome di “intelligenza artificiale” già rende possibile la produzione automatica di programmi informatici. Per ora questo accade in domìni ancora limitati in misura molto ridotta. Ma è una tendenza inarrestabile.

È chiaro quindi che indicare solo il coding come obiettivo dell’istruzione in materia di competenze digitali rischia di mettere su una cattiva strada chi non conosce questi scenari. Senza fornire ai ragazzi una formazione a largo spettro sui vari aspetti dell’informatica, formeremo solo “operai digitali” che saranno i primi a essere espulsi dal mercato del lavoro.

In un quadro in cui questa visione strategica sia chiara, si può benissimo parlare del coding, perché dopo tutto scrivere programmi informatici è un’attività fondamentale per imparare l’informatica. Così come saper fare le operazioni aritmetiche o calcolare l’area di figure geometriche sono passi fondamentali dell’apprendimento della matematica. Va quindi benissimo “fare coding”, soprattutto poi se questo aiuta ad avvicinare ragazze e ragazzi a una materia che può dar loro molte soddisfazioni.

Ma facciamo attenzione a come viene comunicato il messaggio! È fondamentale insistere sull’importanza di una seria formazione scientifica sull’informatica fin dai primi anni di scuola. È la strada su cui diversi Paesi avanzati si sono già avviati (per esempio Usa, Regno Unito, Israele) e sulla quale la nostra comunità universitaria dell’informatica ha presentato al ministero dell’Istruzione una proposta organica. Speriamo che il governo del cambiamento sia in grado di cogliere questa opportunità.

Il dialogo con i lettori interessati a questo tema proseguirà, trascorso il tempo qui disponibile per i commenti, su questo blog interdisciplinare.

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