Stati Uniti, Russia, Cina. Si allarga la crisi diplomatica dopo la decisione di Washington di sospendere la propria partecipazione all’Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces), il trattato sul controllo dei missili nucleari di raggio intermedio. La Russia decide di fare lo stesso. La Cina, che non aveva firmato il trattato, avverte che la decisione statunitense “può scatenare una serie di conseguenze avverse”. Gli alleati europei assistono preoccupati. L’effetto più probabile è una nuova corsa agli armamenti dagli esiti imprevedibili.

C’è un elemento interessante nel susseguirsi di eventi delle ultime ore. Venerdì gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dal trattato entro sei mesi, a meno che Mosca non ponesse fine a quelle che – secondo Washington – sono violazioni del patto del 1987 (già l’amministrazione Obama nel 2014 aveva accusato la Russia di non rispettare gli accordi). Questo dava ovviamente al Cremlino una finestra temporale di sei mesi per intavolare nuovi negoziati. Non siamo ottimisti, avendo tentato tutto il possibile sin dal maggio 2013. Ma i russi hanno un’occasione finale”, ha detto venerdì, poco dopo l’annuncio di Mike Pompeo, un funzionario del Dipartimento di Stato.

La risposta russa, che a sua volta sospende il trattato, significa che l’idea di un possibile negoziato è stata scartata. Vladimir Putin, peraltro, non annuncia soltanto la sospensione dell’Inf; ha anche dato istruzioni per iniziare la costruzione di un nuovo missile supersonico a medio raggio, oltre a chiedere al proprio ministro della difesa di partire con la dislocazione di missili “Kalibr”. Questo significa che, nonostante le assicurazioni del presidente russo di non voler iniziare una corsa al riarmo, il Cremlino non ha timori a rispondere, colpo su colpo, alle mosse americane.

Il botta e risposta tra Washington e Mosca porta tra l’altro un ulteriore elemento di crisi a un rapporto che, negli ultimi anni, si è progressivamente deteriorato. C’è stata la questione dell’annessione russa della Crimea, lo scontro diplomatico sul caso Skripal in Gran Bretagna, le accuse sulle ingerenze di hackers guidati dal Cremlino nelle elezioni statunitensi del 2016. Ora esplode la crisi sui missili, che ha ovviamente un valore diverso rispetto a tutte le altre questioni aperte. Quest’ultimo episodio viene infatti a sancire la fine di un periodo storico durato mezzo secolo: quello volto al controllo della proliferazione nucleare.

Ci sono due tipi di conseguenze che è possibile prevedere a questo punto, soprattutto da parte statunitense. La sospensione dell’Inf da entrambe le parti lascia mano molto più libera agli Stati Uniti. L’amministrazione Trump sarà ora in grado di sviluppare la ricerca e schierare missili di raggio intermedio. Il finanziamento a questo tipo di ricerca era già stato votato dal Congresso nel 2017 – 58 milioni di stanziamenti -, senza però che si passasse alla fase operativa. Resta poi la questione dell’altro trattato, il “New Start”, che limita testate, bombe, vettori nucleari e che fu firmata a Praga nell’aprile 2010. Il “New Start” scade nel 2021, poche settimane dopo l’inaugurazione del nuovo presidente. Cosa farà Donald Trump? Aspetterà la sua eventuale rielezione per mettere mano anche a quell’intesa? Oppure vi si dedicherà prima, in modo da lasciare al suo secondo mandato, o a un eventuale successore, il peso di decisioni già prese?

C’è poi un aspetto più generale, che riguarda la diplomazia americana – e che, al momento, non può essere considerato una vittoria per Washington. In una serie di dichiarazioni pubbliche e private, Trump e i suoi hanno espresso l’intenzione di arrivare a un nuovo corpo di accordi sul nucleare, che non riguardassero soltanto Mosca e Washington ma anche tutti quei Paesi – Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, Iran – in qualche modo coinvolti nello sviluppo di armi nucleari. La strategia è ambiziosa e tutt’altro che semplice da realizzare, perché prevede il passaggio da accordi bilaterali a un multilaterialismo su cui al momento non si è nemmeno cominciato a lavorare. La rottura del quadro bilaterale sin qui seguito ha del resto un unico effetto sicuro: un’assenza di regole che aumenta i rischi. Come ha dichiarato Jon Wolfsthal, esperto del National Security Council durante l’amministrazione Obama, “nessuno nell’amministrazione ha previsto a quale ciclo di azione e reazione portano mosse come queste – costruire testate nucleari, ritirarsi dai trattati, perseguire la costruzione di nuovi missili”.

Se il vecchio alleato europeo assiste alla nuova crisi con preoccupazione ma senza avere ormai alcuna possibilità di influenza nelle scelte dell’amministrazione – “Senza un trattato ci sarà meno sicurezza”, ha detto laconicamente il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas -, la vera incognita rimane la Cina. Pechino ha reagito alla sospensione americana con preoccupazione, parlando di possibili “conseguenze avverse”. Le autorità cinesi sanno infatti che la decisione di Washington è diretta contro la Russia quanto contro la Cina stessa. Era stato proprio Trump, in ottobre, a dire che la Cina doveva “essere parte di un’intesa sul nucleare”. E venerdì fonti del Dipartimento di Stato spiegavano che “è una realtà che oggi la Cina è senza alcun tipo di costrizione. È una realtà che hanno oltre mille missili nucleari di medio raggio”. Liberarsi delle proprie costrizioni, proprio come la Cina; pensare magari a nuove basi missilistiche da dislocare presso gli alleati cinesi: tutto questo potrebbe essere tra gli obiettivi dell’amministrazione Usa mentre sospende il trattato con la Russia. Una politica che, insieme allo scontro su dazi e valuta, è destinata ad alimentare le tensioni con Pechino.

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