Vi siete mai chiesti come si fabbrica uno smartphone, e quanto tempo ci vuole per passare da un mucchietto di componenti sfusi a un prodotto finito? L’abbiamo visto con i nostri occhi, visitando la fabbrica cinese di Songshan Lake, a Doungguan. Qui Huawei fabbrica il P20, il suo modello di fascia alta in commercio dalla scorsa estate. La linea di produzione ne sforna uno ogni 28,5 secondi.

Non abbiamo potuto scattare foto né registrare video per tutela di segreti industriali (le immagini che vedete in questa pagina sono fornite dal produttore), ma possiamo raccontarvi quello che abbiamo visto. La linea di produzione consiste in due flussi di assemblaggio che lavorano in parallelo. L’intero processo, dall’elaborazione delle materie prime ai test, al confezionamento e all’assemblaggio finale, è automatizzato per oltre il 70%. I macchinari si occupano della maggior parte dei compiti da svolgere sulla linea produttiva, solo alcune fasi necessitano dell’intervento umano.

Si inizia con la stampa di un codice QR univoco sulla base della scheda logica. Si tratta del numero d’identificazione che consente al produttore di tracciare tutte le fasi del processo e di averne il pieno controllo. Mediante questo codice, per esempio, si può sapere esattamente quando e dove è stata creata la scheda, da quale fornitore proviene e nell’ambito di quale lotto di materiali.

Si passa quindi all’assemblaggio della scheda logica, ad opera di un macchinario automatizzato realizzato appositamente da Huawei. Oltre mille piccoli componenti vengono fissati su una base da un braccio meccanico che sfrutta una tecnologia denominata SMT (Surface Mount Technology). Il rettangolo che ne risulta viene poi tagliato in due. Sono due schede logiche, che rappresenteranno il cuore pulsante di altrettanti P20.

A questo punto la scheda logica passa attraverso una procedura chiamata ispezione ottica automatica 3D, su cui una speciale fotocamera scatta un’immagine di ciascun componente per verificarne il corretto posizionamento. Un altro macchinario prende in consegna la scheda logica e la posiziona dentro a quella che diventerà la back cover del P20, con tanto di applicazione automatica di colla e adesivi. La back cover è il pannello retrostante del telefono, per intenderci quello in cui vediamo la fotocamera posteriore.

Qui subentra la “parte umana” della catena di montaggio, perché il modulo fotografico dev’essere posizionato manualmente. Un altro operaio si occupa poi dei test di vibrazione, chip Wi-Fi e jack audio. Avvengono in apposite cabine, e la persona è adibita ad eseguirli e controllarne gli esiti. Superati i controlli, lo smartphone torna ad essere gestito dalle macchine, che applicano lo schermo, la restante parte della cover e le finiture.

Sebbene l’assemblaggio materiale sia terminato, lo smartphone non è ancora pronto a lasciare la linea di produzione. Tornato nelle mani degli operatori in carne ed ossa, viene sottoposto ai test sulla reattività del display, sull’audio e sul corretto funzionamento del touchscreen. Se promosso, il P20 viene messo a riposare per 10 ore in uno speciale macchinario che garantisce il corretto asciugamento della colla e degli adesivi, e che esegue test software alla ricerca di qualsiasi problema alle componenti hardware.

Non resta che inscatolare il prodotto, con il solito metodo usato dalle fabbriche: la scatola finita viene pesata per capire se siano stati inseriti all’interno tutti i componenti. La tolleranza in questo caso è di 6 grammi in eccesso e in difetto.

Torniamo al conteggio dei tempi: se si considera il percorso di ogni singolo smartphone, per realizzarlo occorrono 28 ore. Le unità gestite in contemporanea però sono talmente tante, che alla fine della catena produttiva passa un dispositivo ogni 28,5 secondi.

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