La questione curda sta portando Stati Uniti e Turchia allo scontro diplomatico. A far infuriare il presidente Recep Tayyip Erdoğan sono state, questa volta, le parole del Consigliere per la sicurezza nazionale di Washington, John Bolton, che, ammorbidendo le parole con cui Donald Trump annunciava un imminente ritiro delle truppe dai territori riconquistati dalle milizie curde nel nord siriano, ha dichiarato che un ritorno a casa dei militari potrà avvenire solo a due condizioni: con la certezza di un’effettiva sconfitta dello Stato Islamico e con l’impegno turco a non invadere i territori in mano alle milizie Ypg che hanno cacciato i jihadisti. “Parole inaccettabili”, ha dichiarato il presidente turco, che così ha annullato il suo incontro con Bolton in programma per oggi, lasciando l’incombenza al suo consigliere e portavoce, Ibrahim Kalin.

La gestione dei territori liberati dalla presenza dei terroristi grazie all’azione di terra delle milizie curde, spalleggiate dai bombardamenti della cosiddetta coalizione occidentale a guida Usa, era di nuovo tornata sulle prime pagine dei giornali a metà dicembre, quando il presidente statunitense aveva annunciato la volontà di ritirare i soldati americani da quelle aree. Una dichiarazione che i combattenti del Rojava avevano accolto come un tradimento da parte degli alleati d’oltreoceano che, secondo loro, si sarebbero serviti delle truppe curde on the ground per raggiungere i propri obiettivi per poi abbandonarle. Il timore principale, oltre a quello di un possibile ritorno dei jihadisti neri, stimati in 30mila unità sparse nel Paese, è rappresentato dalle aspirazioni espansionistiche della Turchia che mira a mettere le mani sul nord siriano e soffocare i piani indipendentisti delle popolazioni curde che potrebbero scatenare un effetto domino anche nei territori turchi. È anche per questo motivo che Erdoğan non si è mai stancato di ripetere che Ankara considera i miliziani dello Ypg dei terroristi tanto quanto quelli del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) che combattono contro Ankara.

Le parole di Trump, pur riscuotendo i favori di Ankara, avevano di nuovo creato un ribaltone alla Casa Bianca portando alle dimissioni di uno dei fedelissimi del magnate statunitense, il Segretario alla Difesa James “Cane Pazzo” Mattis che nella sua lettera di addio aveva lasciato intendere che voltafaccia del genere minano la credibilità internazionale di una potenza come l’America.

Evidentemente, il malumore per la decisione non era rimasto circoscritto all’ufficio di Mattis, ma si è insinuato tra i corridoi della Casa Bianca. Così, durante il discorso tenuto lunedì in Israele nell’ambito del suo tour mediorientale, John Bolton ha corretto il tiro, spiegando che il ritiro delle truppe statunitensi dal nord della Siria avverrà a due condizioni: l’effettiva sconfitta dello Stato islamico in Siria e la garanzia da parte della Turchia di non attaccare i curdi nel nord del Paese. Parole che hanno fatto infuriare Erdoğan: “Non è possibile accettare il messaggio mandato da Bolton”, che” ha commesso un grave errore”. “Sono terroristi”, ha detto il presidente turco in riferimento all’Ypg, “presto intraprenderemo azioni per neutralizzare i gruppi terroristici in Siria”. Di qui la decisione di disertare l’incontro in programma martedì proprio con Bolton. Erdoğan ha motivato questo cambiamento dell’ultimo minuto spiegando che Kalin è l’omologo turco di Bolton. Una scelta che, secondo quanto riporta il quotidiano turco Sabah, avrebbe convinto l’americano a lasciare il Paese, creando i presupposti per una crisi diplomatica.

I timori dei curdi e, evidentemente, di Mattis e Bolton, sulla volontà turca di invadere i territori del nord siriano sembrano essere fondati. Lo dicono le azioni condotte dai turchi ad Afrin all’inizio del 2018 e lo dice lo stesso Erdoğan in un editoriale pubblicato il 7 gennaio sul New York Times in cui si intuisce la volontà del Sultano di isolare le milizie curde dal resto della popolazione per indebolirle e sconfiggerle: “Durante la guerra, molti giovani siriani non avevano altra scelta che aderire al Pyd/Ypg, il ramo siriano del Pkk che la Turchia e gli Stati Uniti considerano un’organizzazione terroristica – si legge in un passaggio dell’editoriale – Secondo Human Rights Watch, i militanti Ypg hanno violato il diritto internazionale reclutando bambini. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, completeremo un intenso programma per riunire i bambini soldato con le loro famiglie e includere tutti i combattenti che non hanno legami con organizzazioni terroristiche nella nuova forza di stabilizzazione. Garantire un’adeguata rappresentanza politica per tutte le comunità è un’altra priorità. Sotto la sorveglianza della Turchia, i territori siriani che sono sotto il controllo dello Ypg o del cosiddetto Stato Islamico saranno governati da consigli eletti dalla popolazione. Gli individui senza legami con gruppi terroristici potranno rappresentare le proprie comunità nei governi locali”.

Ora tocca a Donald Trump scegliere la prossima mossa. Le opzioni sono due. La prima, ammorbidire le proprie dichiarazioni, allinearsi con il suo consigliere e cercare di svolgere il ruolo di mediatore tra Ankara e quelli che fino ad oggi erano gli alleati sul campo della coalizione occidentale, ossia le milizie curde. La seconda, cedere alle richieste della Turchia, il secondo esercito più grande della Nato, abbandonare il nord siriano e lasciare le milizie dello Ypg schiacciate tra una possibile nuova avanzata delle bandiere nere, da sud, e i carri armati turchi, da nord. In nome dell’America First.

Twitter: @GianniRosini

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