Da una dozzina di anni Enzo Marzo, giornalista e presidente della fondazione Critica Liberale, realizza un rapporto annuale sulla secolarizzazione della società italiana di cui dobbiamo essergli grati, perché è la sola fonte di notizie attendibili su come cambia l’Italia nel rapporto fra credenti e non credenti. Dai dati del Rapporto – sostanzialmente ignorato dalla stampa – risulta chiaramente che non c’è stato nessun “effetto Bergoglio” per frenare il processo di secolarizzazionei dati che seguono sono disomogenei per anni di riferimento, perché sui diversi argomenti i rilevamenti non sono sempre relativi agli stessi anni. Le tendenze, comunque, sono chiare e clamorose.

Lo si desume in primo luogo dal calo dei matrimoni concordatari: se nel 1994 superavano l’80% del totale (235mila su 291mila), nel 2014 si attestano al 56,9% (108mila su un totale di 189mila), con un calo anche rispetto al 2013, quando si erano fermati a quota 57,5%. Di contro sono progressivamente aumentati i matrimoni con rito civile: erano il 19,1% (55mila) nel 1994, superano il 43% (81mila) nel 2014. Cala anche il numero dei battezzati tra 0 e 7 anni sul totale dei nati vivi: un dato che in termini assoluti (-17mila, passando dai 395mila del 2013 ai 378mila del 2014) risente della generale diminuzione delle nascite ma che comunque registra un calo di tre punti in termini percentuali (dal 79,4% del 2013 al 76,6% del 2014).

Nell’ambito delle scuole cattoliche il numero di studenti è diminuito più della media nazionale, registrando un -2,7%. Il numero degli studenti che sceglie di avvalersi della religione cattolica a scuola continua a diminuire. Secondo il Miur, in Italia i ragazzi che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento sono 560mila, il 21%, con un aumento di sei punti negli ultimi dieci anni, soprattutto al Nord. E sappiamo che in molti casi la richiesta di esenzione non viene presentata per mancanza di valide alternative all’“ora di religione”.

Eppure, se si guardano i dati del rapporto che la stessa Critica Liberale cura da qualche anno su religioni e televisione, l’Italia appare come un Paese appassionatissimo ai temi religiosi, con un vantaggio (in realtà, una quasi esclusiva) per la religione cattolica, decisamente eccessivo in una società multirazziale e multireligiosa quale è divenuta da anni l’Italia. Riassumere i dati del rapporto è assai difficile, per cui mi limito a pochi ma significativi esempi.

La presenza delle diverse religioni nei principali programmi di informazione: cattolica, 86,1%; musulmana, 11,1%; ebraica, 1,6%; altri, 1,2%. I programmi di fiction di argomento religioso e/o con protagonisti confessionali: su un totale di 894, 878 fiction sono cattoliche. È una realtà lampante anche per chi non vede spesso la televisione: dalla serie impegnativa de La Bibbia – più volte replicata – a quella interminabile e stucchevole di Don Matteo.

Per quanto riguarda i telegiornali, si registra un’impennata dei tempi di parola del Papa: se nel 2012 Benedetto XVI aveva totalizzato 16 ore, nel 2015 Bergoglio arriva a più di 96 ore. E soprattutto nei tempi di notizia: nel 2015 papa Francesco arriva a toccare quota 137 ore, contro il massimo (nel 2010) di 75 ore registrato da Benedetto XVI.

Un problema analogo è quello – su cui manca purtroppo una rilevazione approfondita come quella di Critica Liberale relativa alle religioni – dei temi inerenti i diritti civili, seguiti con discontinuità e solo di fronte a clamorosi “fatti di cronaca” dalla carta stampata e praticamente ignorati dalla televisione: non solo dalla Rai – che avrebbe un dovere più forte in quanto servizio pubblico – ma anche dalle televisioni private. Naturalmente, questa scarsa attenzione della stampa per i diritti civili riflette quella dei politici. Uno degli esempi più clamorosi di questa “disattenzione” della politica è il comportamento del Parlamento dinanzi alla decisione della Corte costituzionale di non deliberare sul quesito relativo all’incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) ma di dare “un ultimatum” al Parlamento, quello di legiferare sull’eutanasia entro il 24 settembre del 2019.

Eppure si tratta di un fatto senza precedenti nella dialettica fra il potere giudiziario e quello legislativo, cui né il Senato della Repubblica né la Camera dei Deputati hanno dato alcun seguito: neppure un “segno di ricezione” da parte dei loro presidenti o dei presidenti delle commissioni competenti per materia o dei capigruppo delle diverse forze politiche. Lo stesso comportamento della Commissione parlamentare di vigilanza e della autorità delle telecomunicazioni, cui si sono rivolti invano Enzo Marzo e alcune associazioni laiche per segnalare l’eccessivo favore delle televisioni per la religione cattolica e per il Papa.

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