Era una sentenza che aveva bisogno di tempo. La Consulta però ha deciso in tempi brevi sull‘articolo 580 del codice penale che punisce con la stessa pena l’aiuto al suicidio e l’istigazione (da 5 a 12 anni). Il verdetto però non stabilisce la costituzionalità o meno della legge, ma di fatto, prevede un rinvio al legislatore per colmare quello che viene definito un vuoto normativo sul delicatissimo tema come quello del fine vita. Nella camera di consiglio di oggi, la Corte costituzionale ha “rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti – si legge nella nota pubblicata sul sito della corte -. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019. La relativa ordinanza sarà depositata a breve. Resta ovviamente sospeso il processo a quo”. Marco Cappato rimane quindi sub judice.

“La Corte ha riconosciuto le nostre ragioni“, è il commento di Cappato. “Il pronunciamento della Corte Costituzionale dà un anno di tempo al Parlamento per fare ciò che chiedevamo da 5 anni. È un risultato straordinario, arrivato grazie al coraggio di Fabiano Antoniani e alla fiducia che Carmen e Valeria mi hanno datto per la mia azione di disobbedienza civile. È dunque di fatto un successo – un altro, dopo la vittoria sul biotestamento! – di Fabo e della nonviolenza, oltre che delle tante persone malate che, iniziando da Luca Coscioni e Piergiorgio Welby e finendo con Dominique Velati e Davide Trentini, in questi 15 anni hanno dato corpo alle proprie speranze di libertà. “Ora il Parlamento ha la strada spianata per affrontare finalmente il tema, e per discutere la nostra proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale, come sta accadendo nel Parlamento spagnolo”, prosegue il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni.

E sulla pronuncia è intervenuto su Twitter proprio il presidente M5s della Camera Roberto Fico: “La decisione della Consulta è un’occasione importante per il Parlamento – ha scritto – Serve più che mai adesso aprire il dibattito su un argomento delicato rispetto al quale ci deve essere attenzione e sensibilità. La politica affronti il tema dell’#eutanasia”. “È una decisione storica, che a mia memoria non ha precedenti, perché non si limita a un monito al Parlamento, ma dà un monito con termine, indicando una data entro cui deve legiferare”, ha detto invece Filomena Gallo, legale di Cappato e segretario dell’associazione Coscioni. “Inoltre la Consulta ha evidenziato che nel nostro ordinamento c’è un vuoto di tutela su questo fronte”, ha aggiunto.


Dieci mesi dopo l’approvazione del testamento biologico, mentre il disegno di legge sull’eutanasia giace da 5 anni indiscusso in Parlamento, la decisione della Consulta ha riportato il dibattito pubblico a parlare di libertà di decidere sulla propria vita, su come affrontare la malattia e la morte. A sollevare l’eccezione di costituzionalità erano stati i giudici della Corte d’assise di Milano. Marco Cappato era stato assolto dall’accusa di aver rafforzato l’intenzione di Dj Fabo di togliersi la vita nella clinica Dignitas in Svizzera, ma per ciò che riguarda l’imputazione di aiuto al suicidio i magistrati avevano chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi sulla legittimità della norma penale. In un passaggio dell’ordinanza, letta per oltre un’ora dal presidente del collegio, veniva sottolineato chiaramente che all’individuo va “riconosciuta la libertà” di decidere “come e quando morire” in forza di principi costituzionali.  

Fabiano Antoniani, per tutti Dj Fabo, aveva 40 anni ed era tetraplegico, cieco, dipendente dalle macchine per respiro e nutrizione dopo un incidente automobilistico. La norma che equipara l’istigazione e l’aiuto al suicidio, l’articolo 580 del codice penale, sia per la difesa di Cappato sia per il procuratore aggiunto milanese, Tiziana Siciliano (che avava prima chiesto l’archiviazione e poi l’assoluzione durante il processo), risente delle influenze dell’epoca fascista, in cui l’intero codice Rocco fu scritto. “Non chiediamo che venga riconosciuto un ‘diritto a morire’, ma il diritto a essere aiutati quando ci sono situazioni estreme“, era la posizione espressa dai legali di Cappato, Filomena Gallo e Vittorio Manes, durante l’udienza al palazzo della Consulta. Nell’ordinanza i giudici di Milano avevano passato in rassegna le sentenze sui casi Welby ed Englaro, le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo sul fine vita, la legge sul biotestamento, che hanno via via ritoccato il perimetro dei diritti in quest’ambito. Dj Fabo aveva scelto liberamente di mettere fine alle sua sofferenze e aveva anche rilasciato un’intervista a Le Iene (per questo Giulio Golia è stato sentito come testimone nel processo), con l’aiuto della fidanzata Valeria Imbrogno. Dopo la morte di Davide Trentini, il giovane malato di sclerosi multipla che avevano aiutato ad andare in Svizzera, Cappato e Mina Welby si erano ancora una volta autodenunciati alle autorità. Il processo è stato sospeso proprio in attesa di questo verdetto che però non fa che ributtare la palla nel campo del legislatore.

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