L’Italia possiede il più grande patrimonio culturale al mondo. Per questo motivo, quando si apre un cantiere e si inizia a scavare, accade spesso che vengano alla luce opere rimaste nascoste per secoli. È a questo punto che entra in gioco l’archeologia preventiva, chiamata dalla Soprintendenza per tutelare il patrimonio del nostro Paese: un archeologo, molte volte pagato otto-dieci euro all’ora, si assume l’incarico di controllare i lavori e, eventualmente, di bloccarli.

Non deve stupire, quindi, se sono frequenti le storie di costruttori e imprenditori che cercano di corrompere questi professionisti affinché chiudano un occhio (o entrambi gli occhi) quando sono in cantiere. Ovviamente, non tutti gli archeologi accettano. E, anzi, c’è chi ha fatto di più, fondando insieme ad altri colleghi una grande cooperativa di archeologi, che oggi conta 120 dipendenti in tutta la Penisola, per dire no alle mazzette e alla corruzione. Renzo Bozzi, 40enne che divide la sua vita tra gli scavi in Libano e in Italia, fa parte della Coop Archeologia.it.

Gli inviati di Riparte il futuro, la community digitale italiana che da anni si batte per sconfiggere la corruzione nel nostro paese, hanno incontrato 12 italiani under 40, che hanno deciso di resistere nel paese più corrotto d’Europa, sfidando con coraggio l’immobilità del sistema con attività imprenditoriali, proteste e persino opere d’arte.

Le loro storie saranno pubblicate ogni due giorni anche sul Fatto.it. La prima è quella di Nicoletta Scimeca, che a Caccamo, a 17 anni, ha detto no al pizzo: “Resistere è un dovere, e ora portare avanti la mia attività, che dà un’occupazione ai miei concittadini, è diventata una missione”.

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