Reddito di cittadinanza, pensioni e quota cento. Sono queste le misure inserite in manovra che sono state al centro del dibattito politico e sulle prime pagine dei giornali. Ma la legge di bilancio passata con la fiducia al Senato e che a breve sarà all’esame della Camera, include anche norme dedicate alle startup e al venture capital che potrebbero essere in grado di muovere circa 2 miliardi di investimenti in innovazione (qui i punti più importanti). Soldi che dovrebbero arrivare dall’istituzione di nuovi fondi pubblici, ai quali saranno destinati parte degli utili che lo Stato ottiene dalle partecipate, ma anche da una riformulazione dei Piani individuali di risparmio. Un cambio di rotta rispetto agli anni precedenti, visto che finora gli investimenti in innovazione in Italia, tra pubblico e privato, sono stati in media tra i 100 e 200 milioni l’anno. Cifre che non hanno mai fatto decollare il mercato delle start up.

Le misure erano state annunciate anche dal vicepremier Luigi Di Maio, che nel suo elenco pubblicato su Twitter (sopra) aveva aggiunto “un miliardo di euro di venture capital alle startup innovative”. Poche parole al penultimo posto della lista. Ma se il mercato degli investimenti arrivasse a superare miliardo di euro ogni anno, l’Italia potrebbe nei prossimi anni raggiungere i livelli dei principali Paesi europei, recuperando il gap creato negli ultimi 10 anni. O facendo molto per colmarlo.

Con il “Fondo di sostegno al Venture capital”, lo Stato da oggi potrà investire in maniera diretta o indiretta in startup attraverso la creazione di fondi propri o l’investimento in fondi privati esistenti tramite il meccanismo del fondo di fondi. Si tratta di una riserva del ministero dello Sviluppo che dovrebbe essere impiegata in investimenti in altri fondi. Avrà una dotazione di 90 milioni di euro nel periodo 2019-2022, e di altri 20 milioni tra il 2022 e il 2025.

Inoltre il fondo di venture capital di Invitalia, Invitalia Ventures, passa sotto Cassa depositi e prestiti con la sua dotazione di 400 milioni. L’obiettivo è creare uno strumento di investimento unico in innovazione, probabilmente nella forma di una società di gestione di risparmio. Altri soldi in questo fondo dovrebbero arrivare proprio da Cdp, come riportato nel suo piano industriale. Inoltre il 15% dei dividendi delle partecipate sarà destinato al venture capital. Una cifra di circa 400 milioni l’anno, considerando che nel 2017 sono stati di circa 2,5 miliardi. E con queste misure il fondo potrebbe raggiungere sulla carta una dotazione superiore al miliardo, con la cabina di regia del Mise e Cdp incaricata della costituzione del veicolo di investimento.

Altre risorse per gli investimenti dedicati alle startup arriveranno dalla destinazione del 5% dei Piani individuali di risparmio (Pir) a investimenti in fondi di venture capital, una misura attesa da anni da tutti gli operatori di settore. I Pir hanno raccolto nel 2017 circa 11 miliardi di euro, quest’anno la cifra dovrebbe essere di poco inferiore, per un totale di poco superiore ai 400 milioni circa. Con la manovra viene formalizzata anche la categoria dei business angels, che saranno investitori privati che avranno comprato quote di startup per almeno 40 mila euro in 3 anni. Rientrare in questa categoria permetterà sgravi che passano dal 30 al 40% delle somme investite. Finora i business angels erano gruppi informali. E compare anche un’agevolazione fiscale fino al 50% per le società che comprano startup innovative. La conditio sine qua non per averne diritto è che l’impresa mantenga le quote acquisite per almeno tre anni.

“Ad una prima lettura del testo della manovra finanziaria – scrive Davide D’Amico, dirigente del Miur e membro di Italian Digital Revolution – emergono importanti interventi nel settore della crescita e dell’innovazione digitale”. La regia è in capo al Mise, “che dovrà creare le condizioni organizzative di attuazione e di monitoraggio continuo delle policy varate, non trascurando anche collaborazioni con le strutture governative che si occupano della trasformazione digitale nella pubblica amministrazione”. Su Agenda Digitale si evidenzia come il governo abbia sì mantenuto le promesse “per sostenere gli investimenti in startup e la loro crescita”. Ma dall’altro lato, sottolinea che servirebbero “anche altre misure per recuperare i ritardi italiani“. Tra queste anche l’eliminazione della discrezionalità delle Camere di Commercio per la definizione di startup e “misure perché si faccia chiarezza tra Acceleratori, Incubatori, Startup Studios, Coworking, Advisors, Mentors“. Ma sempre su Agenda Digitale Andrea Bianchi, direttore Area Politiche Industriali Confindustria, pur ricordando che il governo “ha salvato molto del piano industria 4.0 e ha messo anche fondi per tecnologie innovative”, si stupisce che “nessuna forza politica se ne intesti il merito”. Secondo Bianchi “la ragione va ricercata probabilmente nella costituency economica e politica delle due forze di governo. In entrambi gli schieramenti sembrano infatti prevalere interessi corporativi di piccole imprese e gruppi di pressione (stabilimenti balneari, tassisti, partite iva ecc.) che hanno di fatto caratterizzato il segno della manovra”. Al di là delle rivendicazioni della politica, le norme che vogliono segnare la roadmap per l’innovazione sono state approvate al Senato e ora arrivano alla Camera. Resta da vedere come l’Italia riuscirà a colmare il gap con gli altri paesi per essere competitiva.

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