“La risoluzione dell’Onu con bollini allarmistici o tasse per dissuadere il consumo di certi alimenti rischia di affossare quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop)”. A lanciare l’allarme è la Coldiretti, ricordando che si tratta proprio di quegli stessi prodotti che l’Unione europea e le stesse istituzioni internazionali dovrebbero invece tutelare. Al centro delle accuse una risoluzione firmata dai sette Paesi della Foreign Policy and Global Health (Francia, Brasile, Norvegia, Indonesia, Sudafrica, Thailandia e Senegal) che “esorta gli Stati membri ad adottare politiche fiscali e regolatorie che dissuadano dal consumo di cibi insalubri”. La proposta, che dovrebbe essere messa ai voti dall’Onu il prossimo 13 dicembre, è quella di tassare e di porre obbligo di etichette sui cibi con alto contenuto di grassi, zucchero e sale, ossia gran parte dei prodotti agroalimentari italiani.

“Non esistono cibi sani o insalubri, ma solo diete più o meno sane”, ha dichiarato il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, sottolineando che la risoluzione rappresenta “un pericolo rilevante per il Made in Italy agroalimentare che nel 2018 ha messo a segno un nuovo record delle esportazioni con un +3% nei primi sei mesi dopo il valore di 41,03 miliardi del 2017”.

IL PERICOLO CHE TORNA – E dire che sembrava lontana la polemica divampata a luglio scorso in seguito alla divulgazione di alcune notizie sul report Time to deliver dell’Organizzazione mondiale della sanità che, tra le altre cose, aveva fornito raccomandazioni a favore dell’adozione di norme di etichettatura su alcuni prodotti per evidenziare la presenza di sale e grassi saturi. Inevitabile l’alzata di scudi da parte dell’intero comparto agroalimentare italiano. Di fatto quelle misure non sono state poi incluse nel documento finale dell’Oms per la riduzione delle malattie non trasmissibili entro il 2030. Nella dichiarazione politica Time to deliver, approvata il 27 settembre 2018 dai Capi di Stato e di Governo dei 193 Paesi membri delle Nazioni unite, infatti, non vi è alcun riferimento specifico a cibi o bevande che possono essere dannosi per la salute. Il testo parla di regimi alimentari che possono esserlo nel loro complesso, rapportati comunque allo stile di vita che si conduce. Eppure, il 12 novembre scorso, il principio che era stato appena approvato è stato rimesso in discussione, con la presentazione alla seconda commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di un progetto di risoluzione che affronta diverse tematiche relative alla salute con un focus sulla nutrizione. La Farnesina ha subito rilevato alcune criticità relative alla formulazione del paragrafo 7.

LA POSIZIONE DEL SENATO – A riguardo il Senato si è già espresso. Il 5 dicembre scorso sono state discusse tre mozioni (di Lega, Forza Italia e Pd) sulla tutela del settore agroalimentare italiano nelle quali si invita a “difendere, con la massima determinazione, il settore agroalimentare italiano in tutte le sedi politiche e diplomatiche internazionali” e si ricorda che la risoluzione rischia di danneggiare “prodotti come il Parmigiano, il Gorgonzola, il prosciutto e, addirittura, gli gnocchi”. Il paradosso è che verrebbero penalizzate proprio quelle produzioni italiane che sono alla base della dieta mediterranea, riconosciuta dall’Unesco ‘patrimonio immateriale dell’umanità’. “Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite – si allerta in una mozione – sarebbero sollecitati ad applicare tasse, etichette dissuasive all’acquisto, come per le sigarette, e restrizioni alla pubblicità e al marketing su gran parte dei prodotti alimentari tipici del Made in Italy, i quali verrebbero classificati come nocivi per la salute”.

Si è anche ricordato il caso della Gran Bretagna dove, su spinta delle lobby, sono state introdotte etichette a semaforo con la quale si escludono dalla dieta alimenti sani e naturali “sostituiti da altri dove gli edulcoranti hanno preso il posto degli zuccheri e di cui non si conosce la composizione”. In pratica è in atto un tentativo di cambiare gli standard e di abbandonare quelli legati al gusto e all’apporto nutritivo, con quelli che rimandano a un presunto approccio salutistico e che aprirebbero le porte di un mercato che fa gola a molti. Ed è possibile che l’Italia debba difendersi da sola, visto che sono davvero pochi i Paesi al mondo che possono vantare una produzione simile. E poi c’è lo strano caso della Francia che, pur vantando numerosi prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica, ha promosso questa iniziativa senza un preventivo accordo con gli altri Stati membri europei.

I RISCHI PER IL MERCATO ITALIANO – A confermare i rischi per il mercato italiano è la Coldiretti, secondo cui si punta a colpire gli alimenti che contengono zuccheri, grassi e sale “sulla base di un modello di alimentazione artificiale ispirato dalle multinazionali che mette di fatto in pericolo il futuro prodotti Made in Italy dalle tradizioni plurisecolari trasmesse da generazioni di agricoltori”. Un patrimonio alla base della dieta mediterranea che ha consentito all’Italia di conquistare con il 7% della popolazione, il primato della percentuale più alta di ultraottantenni in Europa davanti a Grecia e Spagna, ma anche una speranza di vita che è tra le più alte a livello mondiale ed è pari a 80,6 per gli uomini e a 85 per le donne. “Vengono infatti promossi con il semaforo verde cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e bocciati con quello rosso e nero – spiega la Coldiretti – elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva, ma anche i principali formaggi e salumi italiani”.

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