Che cosa resta della paternità? Nulla, o quasi. Non perché non ve ne sia più la presenza, peraltro anche forte come in questi anni, ma perché si vuole che non vi sia proprio più.

1. Partiamo da una riflessione banale: nell’ultimo decennio, almeno, i mass media propongono il modello della donna forte, aggressive, dominatrice, vincente. Sullo sfondo compare specularmente un modello di uomo, dominato, debole, efebico. Il messaggio implicito che si invia è semplice: è finito il tempo del dominio dell’uomo (poco importa che in varie realtà esistano società interamente matriarcali), è cominciata l’era del dominio delle donne.

2. Altra, recente, constatazione: solo una settimana fa l’attrice Angela Finocchiaro descriveva in prima serata su Rai3 (e a una vasta platea di ascoltatori, tra cui certo molti bambini e adolescenti) la seguente chiara locuzione/mantra: “ricordate che gli uomini sono tutti pezzi di merda” e su domanda di una bambina se lo fosse anche il suo papà, replicava: “soprattutto il tuo papà”. Con Serena Dandini che, nel ricordare poi che in realtà i bambini non stavano interagendo con la Finocchiaro, ha aggiunto “peccato”. Pertanto tutti gli uomini – soprattutto se padri – sarebbero delle merde, secondo questo nobile insegnamento (evidentemente misandrico). Un pensiero, questo, che traspare neanche tanto isolato se si seguono attentamente i social. Ovviamente fosse accaduto l’inverso, descrivendo le donne e madri in tal modo, sarebbe già intervenuto l’Onu.

3. Ogni donna ha la libertà di abortire nel rispetto della c.d. legge sull’aborto, 22 maggio 1978, n.194, che non discuto in quanto è stato il frutto di una legittima conquista. Invito tuttavia a un’altra riflessione: quanto conta il parere del “divenendo padre” dinanzi alla volontà di abortire della corrispettiva donna (all’interno di un’unione tra i due ovviamente)? Zero.

4. Esiste un’ampia giurisprudenza che riconosce la responsabilità civile per deprivazione genitoriale (con la conseguente condanna al pagamento di sontuosi danni patrimoniali e danni non patrimoniali, anche a centinaia di migliaia di euro) del padre che si sarebbe sottratto all’accudimento (cura, mantenimento, etc.) dei figli, ancorché egli abbia dimostrato che i figli non siano stati da lui voluti o che addirittura egli ne sia stato escluso sin dall’inizio.

5. Nel caso di “falsa attribuzione della paternità”, ossia quando la donna/madre lascia credere all’uomo/padre di essere il genitore biologico del figlio, per anni se non per la vita intera, improvvisamente la responsabilità civile per i danni riportati dal beffato diviene miserrima (tra tutte: il Tribunale di Taranto nel gennaio 2015 riconobbe un risarcimento del danno in 10mila euro anche se il padre aveva creduto essere suo figlio biologico il minore per 15 anni; nel febbraio 2015, il Tribunale di Firenze risarcì con 5mila euro il padre che aveva fatto legittimo affidamento sulla paternità per 15 mesi).

6. La persistente cultura matriarcale nelle corti di giustizia che pretende di assegnare un ruolo marginale al padre (frequentatore, visitatore, al pari di un turista etc.) e un ruolo di dominio assoluto alla madre (non a caso definito genitore “collocatario”, così scelta nel 95% dei casi) anche in tutte (e oramai tante) situazioni familiari in cui c’è un’equa ripartizione dei compiti genitoriali.

7. Conseguente alla sesta, la pervicace e surreale accusa al Ddl Pillon (il cui scopo principale è solo di realizzare il “rapporto equilibrato e continuativo”, ex art. 337 ter cod. civ. secondo cui “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, preteso dal legislatore anche con la legge sull’affidamento condiviso, in favore della bigenitorialità e dunque dell’autentico interesse del minore) di volere restaurare una cultura patriarcale, attraverso una nuova patria potestà.

8. Lo scarso peso che si continua a dare al congedo parentale paterno, quando invece occorrerebbe riconoscere un serio periodo di congedo, così da responsabilizzare i tanti padri che pure lo desiderino.

In conclusione: la società è molto cambiata ma c’è chi vuol continuare a farci credere che sia rimasta al 1970/1975. C’è bisogno invece, per il benessere di tutta la società, che la paternità venga rispettata, tutelata e sostenuta. Non denigrata e ostacolata.

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