Al ritorno delle vacanze estive la parziale tregua tra il governo “gialloverde” e i media nazionali è cessata quasi di colpo. Una svolta provocata probabilmente, oltre che dal rapido “dissolvimento” del Partito democratico, anche dalla velocissima crescita della Lega, arrivata, nei sondaggi, a superare abbondantemente anche i trionfatori delle elezioni del marzo scorso.

Questa svolta è stata determinata dal cambio di strategia di giornali e televisioni che in precedenza avevano invece aiutato, anche se non esplicitamente, la vittoria dei “gialloverdi”.

In televisione è più difficile che il normale teleutente se ne accorga nei tempi, perché, oltre al modo nel quale le notizie vengono date, anche la scelta stessa delle notizie da dare contribuisce fortemente alla formazione di un sentimento di fondo, favorevole o contrario a questo o quello. Un “lavorio ai fianchi” capace però, se attuato continuativamente e con particolari tecniche, di spostare, spesso inconsciamente, il gradimento che in precedenza veniva dato ad un leader o ad un partito.

Nel referendum costituzionale, per esempio, vinto largamente dal “NO”, la vittoria è arrivata molto più grazie all’influenza (sottotraccia) tra le televisioni private (Mediaset e Cairo) contro la Tv pubblica (Rai) a quel tempo molto influenzata dai “renziani”, che da vera scelta nel merito fatta dal cittadino. A quel tempo il tradimento di Renzi a Berlusconi, ha portato tutta la “corazzata” Mediaset (non solo tv ma anche carta stampata) a schierarsi per il NO.

La maggioranza degli italiani (me compreso) è stata ben contenta che sia finita così, ma non è certo questo un buon modo di condurre il popolo a fare scelte importanti in democrazia. Probabilmente, anche se fatta male (come tutte le altre), sarà l’unica cosa buona che ha fatto Berlusconi per l’Italia. Adesso invece, senza che ce ne sia reale consistenza, vaticina addirittura “un’anticamera della dittatura” solo per l’atteggiamento tenace tenuto dall’attuale governo nei rapporti con l’Europa.

E’ veramente esagerata l’accusa espressa da Berlusconi di pericolo fascista solo per la richiesta governativa di valutare con elasticità l’indebitamento allo scopo di fare investimenti per rilanciare l’occupazione e l’economia (due valori che viaggiano sempre in coppia). Berlusconi e Renzi accusano il governo per meri interessi politici propri, non per pericoli alla democrazia. Questo modo di condurre la politica è però tipico dei politicanti non dei veri statisti.

Ma purtroppo non sono i soli. Anche gli altri maggiori media nazionali stanno facendo “comunella” nel tiro al bersaglio contro ogni decisione o affermazione o previsione che questo governo fa proponendo riforme che aveva promesso, tramite gli stessi leader, in campagna elettorale.

Non c’è dubbio che, tutte assieme, quelle promesse non possono essere mantenute se non, forse, in tempi lunghi, ma il popolo, in generale, queste cose non può saperle, ed è normale che si faccia allettare dalle promesse in campagna elettorale. L’anomalia, stavolta, sta solo nel fatto che si trovino a tentare di realizzarle due partiti che, nelle urne, erano avversari, quindi con programmi diversi, ma pur sempre al vertice dei desideri di molti elettori. Se adesso però questi due programmi si sono quasi interamente sovrapposti rendendo impossibile l’immediata attuazione, non dimentichiamo che la colpa non è né di Salvini né di Di Maio ma è di Rosato (su input di Renzi) che ha scritto regole elettorali incomprensibili alla grande maggioranza della popolazione al solo scopo di far guadagnare voti al suo malandato partito e al suo smanioso capo (che però, con queste riprovevoli “furbate”, allontaneranno ancor più il loro vecchio elettorato).

Anche lo “spauracchio” dello spread fa parte della politica “politicante”, essendo utilizzato in questa sotterranea strategia allo scopo di denigrare l’attuale governo, bollandolo come “sovranista” e ostacolando con ogni mezzo le sue riforme (che però sono molto gradite al popolo, al contrario di quelle di Renzi, imposte a colpi di “fiducia” e detestate dai più). Sarebbe molto meglio guardare allo spread come indicatore della supremazia degli speculatori sui risparmiatori invece che al semplice divario reddituale che si forma artificiosamente rispetto ai titoli concorrenti.

Nessuno si chiede perché un titolo che rende di più è dal mercato meno apprezzato di quello che rende di meno? Non è per il debito del paese emittente (che come ho spiegato nel precedente articolo non rientra nei rischi di gravissima perdita dell’investimento) è semplicemente per la valutazione che gli speculatori fanno circa la loro convenienza a dismettere prima della scadenza quell’investimento.

E’ notorio che le obbligazioni e i titoli sovrani, se venduti in anticipo, subiscono deprezzamento che può essere pesante, ed è proprio questo, non il debito dello Stato emittente, a “muovere” al rialzo lo spread. Allora bisognerebbe cominciare a trattare meglio i veri risparmiatori, che normalmente tengono il titolo fino a scadenza e tartassare invece duramente gli speculatori che non lo fanno praticamente quasi mai, cercando solo di guadagnare sempre e a qualunque costo sulle spalle dei veri risparmiatori.

Si potrebbe persino fare una semplice equazione: i sovranisti stanno ai risparmiatori come i politicanti stanno agli speculatori (o ai mercati?).

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