La questione del “regionalismo differenziato” di cui ho parlato nei precedenti post rischia di tradursi in un’autentica arlecchinata istituzionale e di rivelarsi come una falsa soluzione ai problemi innegabili di governo della sanità. Tradotto: una sonora fregatura per i cittadini e nello stesso tempo, una questione politica divisiva tra Lega e Movimento 5 stelle.

Il ministro degli Affari regionali Erika Stefani ha depositato presso la presidenza del Consiglio dei ministri la proposta di legge per la quale il Veneto si dovrebbe portare a casa ben 23 materie attualmente concorrenti con lo Stato tra le quali la sanità. Quindi il Veneto dovrebbe uscire dal servizio sanitario nazionale. Proposta, da quello che sappiamo, per il momento posta in stand by da numerose obiezioni avanzate da più ministeri (Salute, Infrastrutture, Mise e Lavoro, Ambiente e Giustizia).

Perché arlecchinata? La procedura per avere più materie da sottoporre all’autonomia regionale, prevista dalla legge, è uguale per tutti ma le Regioni sono libere di scegliere le materie devolvibili, tutte o in parte, e di scegliere aspetti cioè singoli problemi delle materie devolvibili. L’arlecchinata dipende dall’enorme variabilità delle richieste regionali e dall’impossibilità di dare loro risposte univoche e uniformi. Alle gravi diseguaglianze storiche che abbiamo già si aggiungeranno altre diseguaglianze facendo saltare di fatto il principio di universalità che il diritto alla salute richiederebbe.

Perché dico “una falsa soluzione”? Per tante ragioni:

– perché l’operazione deve avvenire a costo zero cioè alla crescita dell’autonomia regionale non corrisponderà un aumento dei finanziamenti. Il criterio che vale è quello della spesa storica. Se il Veneto fino ad ora per la sanità ha speso l’8%, d’ora in poi gli sarà permesso trattenere la cifra che potrà spendere come vuole, salvo il caso di un commissariamento se non rispetterà i famosi livelli essenziali di prestazioni (Lep) cioè non rispetterà i diritti di legge.

– perché i problemi di governo che hanno le Regioni non sono risolvibili come credono le Regioni solo con una crescita dei poteri. Questi problemi hanno a che fare con profondi mutamenti sociali e economici che richiedono soluzioni riformatrici, un modo di pensare diverso dal passato. Per questo la forma di governo va ripensata rivedendo i rapporti promiscui tra governo e gestione: la soluzione dell’azienda ormai dopo 26 anni di esperienza fa acqua da tutte le parti.

– perché la teoria del decentramento amministrativo non è più in grado di reggere il confronto con le famose sfide della complessità che dobbiamo affrontare.

– perché non ha senso dare più autonomia alle Regioni e riempirle, da Roma con lo spending power, di limiti e vincoli.

– perché, infine, la sostenibilità garantita con politiche di de-finanziamento ci sta mettendo in ginocchio e ormai ci impone di andare oltre il piccolo cabotaggio dell’amministrativismo e delle politiche locali, ecc ecc.

Due convincimenti: il regionalismo differenziato è una soluzione sbagliata a una questione, quella del governo della sanità. Per affrontarlo bisogna spostare la riflessione non sul terreno delle autonomie ma su quello della forma di governo più opportuna e più adeguata. Da questo scaturisce che non si può definire una nuova forma di governo della sanità senza prima scegliere la strategia alla quale si deve attenere. Un conto è definire il governo per gestire e amministrare la spesa e un conto è definire il governo per liberare risorse con degli interventi riformatori. Cosa vogliamo fare in futuro? Amministrare e basta? O riformare e amministrare il cambiamento?

Personalmente ritengo che esiste una mediazione possibile tra la teoria del regionalismo differenziato e la necessità di non rovinare un sistema sanitario – che deve restare – nazionale, solidale, universale. Le soluzioni ci sono. Tale mediazione va ricercata ora prima che non si rompano le relazioni nel governo e prima di dare il via a proposte di legge, che inevitabilmente darebbero luogo a conflitti non solo nella politica ma nel paese.

Alla Lega ricordo che è diventata un partito nazionale e che quello che si fa in Veneto si ripercuoterà nel resto d’Italia. Se il Veneto o altre regioni uscissero dal servizio sanitario nazionale peggiorerebbero le condizioni delle Regioni più deboli.

Al Movimento 5 stelle invece ricordo che l’autonomia è un valore ma essa non può essere fraintesa con l’arbitrarietà e non può essere il pretesto per mettere in piedi pericolose concentrazioni di potere o peggio ancora per amministrare le professioni quindi a scapito di altre autonomie. Un’autonomia che non genera autonomia è una finta autonomia. Oggi per ragioni di complessità le forme di governo di stampo centralistico – a qualsiasi livello siano collocate – devono aprirsi alla partecipazione delle professioni e dei cittadini. Quindi vanno ripensate nelle autonomie.

Cerchiamo insieme questa mediazione ed evitiamo di fare stupidaggini.

PS. Siccome non è agevole trattare in modo esauriente la questione del regionalismo differenziato in un post, rimando per gli approfondimenti agli articoli pubblicati on line su Quotidianosanità.it 

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