Il Napoli è la migliore espressione di efficienza di Napoli. Il Napoli, inteso come Società Sportiva Calcio, ha un solo protagonista: Aurelio De Laurentiis, presidente di una azienda rilevata da un fallimento versando alla curatela un assegno circolare di Unicredit Banca di circa 30 milioni di euro. Conosco molto bene (!!!) la firma del dirigente che firmò quegli assegni circolari ed ho le prove, contrariamente a quanto si afferma in giro, che le disponibilità a copertura di quell’impegno appartengono ad Aurelio De Laurentiis.

Per la precisione, così come scritto nella Relazione sulla Gestione relativa al bilancio 2005, che l’acquisto del ramo di azienda riguardante l’attività sportiva dal fallimento S.S.C. Napoli SpA. è avvenuto al prezzo di Euro 29.500.000 oltre imposta di Registro del 3%. Quindi un rischio di circa 30 milioni sostenuto attraverso un finanziamento di Unicredit (interamente garantito dal patrimonio della famiglia De Laurentis) già rimborsato dopo appena tre anni con i proventi del Calcio Napoli.

In più i soci, nel corso di questi quattordici anni, hanno apportato come capitale di rischio altri 16,65 milioni di euro, concentrati soprattutto nei primi due anni di attività per ripianare le perdite. E siamo a un totale di 47 milioni circa di rischio di cui 30 già recuperati!

Infine, dall’analisi dell’ultimo bilancio del Napoli, figura anche un “finanziamento soci”  di Euro 3.911.220 che, è bene sottolineare, è da catalogare come capitale di prestito e non di rischio. In altri termini, la famiglia De Laurentis, in 14 anni, ha messo nelle casse del Napoli 51 milioni di cui 54 (30 rimborsati a Unicredit + 24 di compensi) già recuperati!

Quindi dopo 14 anni un imprenditore che è venuto nella nostra città per rischiare il suo capitale ha guadagnato circa 3 milioni di euro. Poco più di 200.000 euro all’anno.

Solo per capire la portata del rischio, se il presidente avesse investito in questi 12 anni la cifra di 51 milioni acquistando un semplice titolo di Stato, avrebbe guadagnato mediamente circa il 2,7% annuo! Una cifretta pari mediamente a 800mila euro annui.

Un rischio imprenditoriale enorme se si pensa che il Napoli ripartiva dalla serie C e che qualche settimana prima non si era trovato un solo imprenditore napoletano che volesse rischiare 7 milioni per ripartire, in base al lodo Petrucci, probabilmente dalla serie B.

Oggi il Napoli fattura oltre 300 milioni di euro, ha una dimensione internazionale che pare inizi ad interessare anche le multinazionali dell’abbigliamento sportivo (Adidas?) e riesce ad essere attrattivo per personaggi del calibro di Ancelotti, un vero e proprio ambasciatore del processo di internazionalizzazione dell’azienda.

Senza dimenticare che De Laurentiis opera da quindici anni in città, con l’impresa da sempre più discussa di Napoli, e non è mai stato coinvolto in alcuna inchiesta per affari con la camorra. Di certo a Napoli (non Torino o Milano) il bagarinaggio – che storicamente ha sempre spadroneggiato – non c’è più. Questa sua estraneità, in un territorio che è oggettivamente difficile, non viene mai evidenziata.

In città è addirittura avversato da tanti tifosi, contro di lui è nato il fenomeno culturale e interclassista che meglio di ogni altro fotografa la città: il papponismo. Papponismo che è quasi più radicato nella presunta alta borghesia. Quella borghesia pseudo-benpensante che rappresenta il vero dramma della mia città. Perché è una borghesia poco colta che non sa interpretare la posizione di privilegio datagli dalla sorte, dedicando parte del suo tempo e delle sue sostanze a iniziative finalizzate a dotare la città di un nuovo decoro e di progetti vincenti.

Il sanfedismo a Napoli non è mai scomparso. Eppure il Napoli è il meglio di Napoli.

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