Auto che si guidano da sole? Che inquinano poco o niente? Che si usano ma non si possiedono? Gli addetti ai lavori scommettono sulla Automotive Revolution. Tranquilli, arriverà. Quando, però, non si sa. Perchè, dati alla mano, la rivoluzione avanza ma pianino, soprattutto in Italia. A dirlo sono i risultati dell’”Automotive Disruption Radar” (che sarebbe un Osservatorio sull’evoluzione dell’auto) numero 4.

Nel 2017 gli esperti dell’auto di Roland Berger, una delle più celebri società di consulenza strategica al mondo, hanno deciso di misurare la “temperatura” del pianeta auto – specialmente in tema di autodriving, sharing ed emissioni zero – due volte l’anno. Opera meritoria, posta in essere basandosi su ben 26 diversi indicatori e interpellando oltre 13 mila guidatori di 14 Paesi.

Il massimo voto raggiungibile è 130 punti e dal report fresco fresco di stampa la più secchiona della classe si rivela la Cina, che si merita un pregevole 75 in pagella. Singapore la tallona a quota 70 mentre l’Italia sbuffa in 13esima posizione, con 56 punti, lasciandosi dietro solo la maglia nera Belgio. Secondo Andrea Marinoni, senior partner di Roland Berger, non è il caso tuttavia di stracciarsi le vesti. “E’ vero, siamo molto indietro a causa soprattutto dell’inadeguatezza delle infrastrutture e di un arretrato quadro normativo (dallo studio emerge che le italiche città siano quelle con meno divieti anti-pollution e anti-traffico, per esempio), però abbiamo un sacco di aziende eccellenti nelle aree tecnologiche più interessanti per l’auto pulita e autonoma e possiamo giocare un intrigante ruolo di “smart follower””, sottolinea Marinoni. Come dire che non sempre tirare il gruppo garantisce la vittoria. Si può succhiare la ruota e poi andare al comando quando chi ha iniziato per prima a spingere è stanco. Peccato che, per prefigurare un simile scenario, dice ancora l’esperto di Roland Berger, “occorre che il Paese si doti di una politica industriale sulla mobilità del futuro”, creando le condizioni per sviluppare un ecosistema capace anche di catturare un po’ degli investimenti che stanno piovendo sulle società hi-tech impegnate in questi campi e che, finora, su quelle italiane sono piovute col contagocce.

Non a caso in testa alla graduatoria c’è la Cina: escludendo che i cinesi siano attaccati all’ambiente più di tutti gli altri (opinione personale), vien da pensare che se a Pechino decidono di vietare la circolazione alle auto col motore termico e di piazzare colonnine per la ricarica a go-gò sul territorio, lo facciano in un amen.

La Cina è seconda per numero di ricariche ogni 100 km di strade e ha bruciato le tappe tra l’estate del 2017 e l’estate appena finita, salendo a 5,7 da 2,5. Qui comanda la piccola e piatta Olanda, con 24,4. Niente male neppure il balzo teutonico, dato che la Germania sale da 3,1 a 4,5. In termini assoluti, ovviamente, sono i cinesi a comandare, dall’alto delle loro 272 mila stazioni per fare il pieno elettrico. Gli olandesi ne hanno 34 mila, i tedeschi 29 mila. Percentualmente parlando, pure l’Italia ha fatto un bel salto in avanti, addirittura del 33,3%. Facilino, partendo dall’ultrabasso: ora, con circa 3 mila installazioni, siamo a 0,4 stazioni di ricarica ogni 100 km. Continuando con questi ritmi, basteranno un paio di secoli per avere infrastrutture adeguate a una reale penetrazione delle automobili spinte soltanto da un motore elettrico.

Gli esperti di Roland Berger comunque sono sicuri: da qui al 2030 le cose cambieranno parecchio. “Non è in discussione il fatto che la rivoluzione ci sarà, molto meno chiaro capire quali traiettorie seguirà”, commenta ancora Marinoni. Gli autori del report si attendono infatti un significamento incremento delle vendite di veicoli elettrici. A livello mondiale, la quota di mezzi a “zero emissioni” nel 2025 potrebbe rappresentare l’11 per cento delle nuove immatricolazioni (quindi, più di 10 milioni di auto elettriche nuove in un solo anno). Con la solita Cina al comando, con il 19%, pedinata dall’Europa con il 15%. L’insieme di Stati Uniti, Canada e Messico si fermerebbe invece al 5%.

I 26 indicatori utilizzati da RB per stilare le pagelle dei singoli Paesi sono divisi in 26 macrocategorie. Si considera l’interesse dei consumatori e lo stato delle infrastrutture, monitorando anche normative tecnologie e attività industriali. Gli indicatori legati al sentimento dei guidatori sono, sempre secondo chi scrive, i meno attendibili. In Cina, per esempio, il 65% degli interpellati sostiene che la sua prossima vettura sarà elettrica. Bum! In Europa, l’effetto-Pinocchio è più ragionevole, con il 30%. Gli italiani però non resistono all’idea di fare i piacioni e la sparano più grossetta della media europea. Il 40% promette che la nuova auto sarà a batteria. Visto che il campione tricolore è composto da mille intervistati, sarebbe bello poter tornare tra qualche anno dai 400 autocertificati fan dell’auto elettrica e chiedergli di farci fare un giro sulle loro Tesla, Leaf & company…

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