La procura di Perugia non riaprirà l’indagine sulla morte di Aldo Bianzino: i magistrati hanno rigettato la richiesta di svolgere nuovi accertamenti avanzata nel maggio scorso dal figlio Rudra. Il falegname di Vercelli, 44 anni, incensurato, era stato arrestato nel 2007 per il possesso di alcune piantine di cannabis e morto dopo nemmeno 48 ore trascorse nel carcere di Perugia. Le indagini hanno escluso l’omicidio fin dall’inizio, identificando in un aneurisma cerebrale come causa del decesso: nel dicembre 2009 il fascicolo per omicidio a carico di ignoti è stato archiviato, mentre quello per omissione di soccorso ha portato, nel giugno 2015, alla condanna dell’agente penitenziario Gianluca Cantoro a un anno di reclusione (coperto da indulto). Per il sostituto procuratore Giuseppe Petrazzini non ci sono elementi sufficienti per aprire un nuovo procedimento.

L’istanza di riapertura delle indagini – avanzata dagli avvocati della famiglia Massimo Zaganelli e Cinzia Corbelli – si basava su due perizie svolte dai consulenti medici Luigi Gaetti e Antonio Scalzo, secondo cui l’emorragia che ha portato il falegname alla morte sarebbe stata dovuta ad un evento traumatico. In particolare, secondo i periti la lesione al fegato di Bianzino sarebbe contemporanea alla morte, e non successiva e causata dalle manovre rianimatorie come stabilito nel provvedimento di archiviazione. Rudra Bianzino, però, ha fatto sapere attraverso l’avvocato Corbelli di non essersi arreso, e di lavorare a “nuovi strumenti giuridici con cui far riaprire il caso”.

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