«Popolo di poet, di cantant, di canzonettist, di cantautori. Popolo di Canzonissima, cantat». Qualche ultra settantenne come il sottoscritto ricorda ancora la formidabile sigla della Canzonissima 1962 di Dario Fo e Franca Rame, ironica ricostruzione di un comizio socialista di fine Ottocento? Quello spettacolo di rara intelligenza satirica che venne bloccato dopo poche puntate dal benpensantismo pudibondo e codino di marca democristiana. Eppure mai avremmo pensato che la gag con cui si metteva alla berlina il “paese musicomane” racchiudesse una potente visione profetica, seppure a scadenza ritardata di ben undici lustri.

Perché ormai risulta evidente come la situazione drammatica ma poco seria in cui siamo finiti, nel susseguirsi di gag dal 4 dicembre 2016 (tragicomico referendum intitolato alla starlet in disuso Maria Elena Boschi), assuma l’aspetto di una commedia musicale. E dato che siamo diventati da tempo estrema periferia americana, un musical di fattura stelle-e-strisce. Popolato da bulli e pupi. E per rendersene conto è sufficiente riconfigurare su tali modelli canterini gli eroi dell’attuale spettacolo nostrano.

Partiamo dai primi, accantonando per puro spirito caritatevole il capostipite, il paleo-craxiano Silvio Berlusconi che ha imperversato per decenni ma che ormai si è ridotto a un patetico svampito, tenuto assieme dal mastice di cerone e coccoina. Una pittata Gloria Swanson che perde i pezzi all’angolo del Sunset Boulevard di Arcore.

Ora sono altri a calcare la scena. Ad esempio il bullo ululante e ad alto tasso di traspirazione Beppe Grillo, su cui forse incombe il rischio di venire scaricato dai propri adepti e con crescenti battute a vuoto nei testi maldestri (predisposti dai suggeritori) per i suoi sproloqui scenici, con relative cadute nelle irrisioni dei malati di Asperger che neppure fanno ridere i trucidi. D’altro canto la grande originalità grillesca era il mugugno lamentoso con cui veicolare, tra un vaffa e l’altro, analisi politiche messe a punto nel bar degli aperitivi di sant’Ilario e relativi cazzeggi. Ultima la digressione etilica sui presunti poteri straripanti del Presidente di una Repubblica parlamentare quale quella italiana; con immediata e umiliante presa di distanze da parte della nomenklatura pentastellata. Così come è ormai passato di moda anche il bullo logorroico Matteo Renzi, quello della chiacchiera che intontisce; sonora e inespressiva, in procinto di trasformarsi sistematicamente nel cumulo di pietre tonanti che lo seppelliscono. Il modello made in Tuscany ormai soppiantato al centro della scena nazionale dal remake lumbard in gita premio a Visegrad: il bullo tonitruante e sbulinato Matteo Salvini, che ripropone in chiave sovranista i borborigmi minacciosi della devolution bossiana. Ricette un tanto al chilo dell’imprenditore politico di se stesso, magari già comunista padano, quanto perfette per intercettare le rabbie indistinte di chi si vede crollare il mondo addosso e pretende qualcuno o qualcosa da incolpare.

A fronte delle bullaggini che spazzano via la folla dei sinistrati di sinistra (i Grasso, i Bersani, gli Orlando) e dei flebili (le Gelmini, i Romano ma anche i più Europa o i Fassina), accenna passi di danza e qualche lieto motivetto il corpo di ballo dei pupi, carini quanto inconsistenti. Il pupo con ciuffetto Giuseppe Conte, miracolato grazie all’intercessione di Padre Pio, e il pupo “bancario look” Luigi Di Maio; che vorrebbe bulleggiare con minacce inesistenti e risse maldestre (impeachment contro Mattarella e addebito nientemeno che di imparzialità al governatore di banca Europea Mario Draghi) ma che non riesce a reggere il ruolo per assoluta carenza di speroni.

Del resto, nonostante il volenteroso agitarsi tanto dei bulli come dei pupi, la pellicola musicale all’interno della quale si prodigano mostra per intero la propria datazione. Era il lontano 1955 quando fu girata da Marlon Brando, Jean Simmons e Frank Sinatra. Ora i loro sostituti – Grillo, Renzi, Salvini, Conte e Di Maio e altri figuranti – stanno trasformando l’intrattenimento canoro in una serie di stecche imbarazzanti.

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