Partiti in cerca di un lavoro. Gli emigranti esistono anche in Italia. Vanno verso il nord del Paese, verso l’Europa, verso l’America. Lasciano la famiglia come a inizio Novecento, con una ideale “valigia di cartone”. Ecco alcune delle loro storie raccontate a valigiadicartone.ilfatto@gmail.com

Sono partito nel 2008, nel bel mezzo della crisi. Sono partito letteralmente con una valigia di cartone di dieci chili. Non avevo un soldo. Ero riuscito a malapena a comprare il biglietto aereo. Non avevo nemmeno i soldi per prendere lo shuttle da Beauvais a Charles De Gaulle, diretto verso il Canada, e in quel frangente ho dovuto dirmi: qua devo farmi dare un passaggio in auto, altrimenti perdo anche quel poco che avevo. Riuscii a farmi offrire un passaggio da alcuni polacchi che vivevano a Parigi e che per mia fortuna avevano appena visitato Venezia e non aspettavano altro che un italiano di quella zona gliene parlasse un po’ e gli raccontasse qualche aneddoto interessante su quella bella città.

Sono arrivato in Canada nel mezzo di una bella nevicata. Tre anni lì sono stati un incubo a livello personale, climatico e sociale. Il Canada – o per lo meno il Quebec – non è quel paradiso che tutti pensano che sia. Ma sono riuscito a farmelo andare e a mettere via abbastanza. Alla fine, ho trovato il modo per trasferirmi legalmente a New York, ed ora mi trovo qua.

Come ogni metropoli, non è una città facile e ho avuto momenti complicati. Ma gli Stati Uniti mi hanno dato tutto, nonostante si siano imbruttiti un po’ dopo l’ultima elezione presidenziale. Mi hanno dato un lavoro, molte possibilità, orizzonti molto più ampi. Mi hanno fatto capire il valore dell’accettazione (anche se oggi come oggi sembra paradossale dirlo, posso dirvi che non ci sono solo Trump in America come non ci sono solo Berlusconi o Salvini in Italia). Ho imparato cos’è l’adattamento, l’improvvisazione nei momenti di bisogno.

L’America mi ha insegnato a non usare solo la testa, ma anche l’intuito e l’istinto, cosa che loro sono più bravi di noi a fare. Ho visto alcuni dei capolavori dell’arte più famosi al mondo, spettacoli dell’opera, Broadway, teatri, faccio sport. Sono diventato un newyorchese e un americano quasi doc e conosco questa città meglio dell’80% di quelli che ci abitano e magari ci vivono da sempre. Insomma, New York me la sono conquistata. Qui sono considerato un americano e insegno inglese e letteratura inglese in un college. Ho la fortuna di avere una forte predisposizione per le lingue, quindi parlo l’inglese da madrelingua.

Eppure, sto per tornare in Italia.

L’Italia mi manca.

Le furberie degli italiani, dei politici italiani, la burocrazia di stampo kafkiano, le fregature delle compagnie telefoniche, e tutti gli altri vizietti quasi stereotipati che, in fin dei conti, si addicono a ciò che siamo e a ciò che facciamo, per quanto stiano rovinando il paese da decenni, ancora non sono riusciti a distruggere il piacere di dedicarsi ad uno stile di vita basato su valori semplici, per lo meno nelle zone di campagna dalle quali provengo io. Sono questi valori che sto cercando di riconquistare, tramite il duro lavoro qua in America.

Per non farla tanto lunga, posso dire di essere venuto in America per trovare l’America. Ed ho trovato (anche) l’Italia.

Tornerò presto.

Jay

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