Il valore del presente e delle piccole cose, lo sguardo originario sul mondo senza sovrastrutture e la meraviglia assoluta di condividerlo, le domande e le risposte che creano un continuo confronto e una riflessione sulla vita. Tutto questo Matteo Bussola lo ha imparato facendo il padre, perché “non è vero che sono i genitori che educano i figli, ma è un rapporto reciproco: grazie alle mie figlie anche io ogni giorno imparo cose su me stesso e sul mondo”.

Oggi sono in pochi quelli che ancora non conoscono il suo nome. Fumettista per la Bonelli, una pagina Facebook con oltre 100mila followers, è diventato un caso letterario con il suo libro Notti in bianco, baci a colazione (Einaudi), in cui racconta la propria esperienza di padre alle prese con tre figlie di 5, 7 e 11 anni, una compagna e il lavoro a casa da freelance, mostrando la straordinaria bellezza che si nasconde nella normalità del vissuto famigliare. Quello che però non tutti sanno è che un tempo Matteo Bussola faceva tutta un’altra vita e non pensava minimamente a metter su famiglia.

Ero soddisfatto del mio lavoro, avevo sicurezza economica e una certa considerazione sociale. Per molti sarebbe una condizione desiderabile, io invece diventavo matto

Architetto per il Comune di Verona, aveva un contratto a tempo indeterminato ottenuto dopo la laurea, busta paga ogni mese con ferie e malattie retribuite. Poi, a 35 anni, la decisione, da molti definita folle, di licenziarsi per seguire il sogno abbandonato in gioventù di diventare disegnatore di fumetti. Il tutto proprio mentre stava per diventare padre per la prima volta. “Per otto anni ho fatto progetti per il Comune. Ero soddisfatto del mio lavoro, avevo sicurezza economica e una certa considerazione sociale. Poi sono stati tagliati i fondi per gli enti pubblici e venivo pagato per fare nulla, se non la manutenzione ordinaria – ha raccontato Bussola a ilfattoquotidiano.it. – Per molti sarebbe una condizione desiderabile, io invece diventavo matto. Così, mentre stava per nascere la nostra primogenita, mi sono licenziato: ho pensato che mia figlia sarebbe stata più felice di avere un padre contento che frustrato”.

Con il pieno sostegno della compagna Paola Barbato, scrittrice e sceneggiatrice di Dylan Dog, Bussola ha così lasciato il suo “posto sicuro” in ufficio e cominciato a lavorare da casa, trasformandosi anche in un padre a tempo pieno. “Disegnavo da tutta la vita, ma ho sempre avuto la paura di confrontarmi, di tentare davvero – continua -. La nascita di mia figlia mi ha spronato. Sentivo su di me la responsabilità di un’altra vita, non potevo permettermi di fallire. Forse una parte di me voleva che il mio primo insegnamento da padre per lei fosse: ‘Fai quello che vuoi della tua vita, o almeno provaci’”.

I primi tempi sono stati molto tosti, per anni siamo stati con l’acqua alla gola

Bussola ci ha provato e ci è riuscito: si era dato un anno di tempo per diventare fumettista e nel giro di due mesi sono cominciati i primi lavori, che via via sono diventati commissioni per case editrici sempre più importanti, fino alla Bonelli Editore. Ma la vera svolta è arrivata con l’inizio della sua vita da genitore, da lui raccontata ogni giorno con autenticità, tenerezza e ironia attraverso la sua bacheca Facebook. Fino a quando uno dei suoi scritti, divenuto virale, è finito sotto gli occhi di un editor. La storia poi è nota. Dopo il successo di Notti in bianco, baci a colazione, sono arrivati sempre per Einaudi Sono puri i loro sogni e l’ultimo libro sull’amore di coppia dedicato alla compagna La vita fino a te; poi le collaborazioni con Radio24 con il programma Padrieterni e con la rubrica Robinson de La Repubblica. “La scrittura è sempre stata parte della mia vita. Scrivevo diari, avevo un blog e ho continuato a fare lo stesso su Facebook. Quando mi hanno chiesto di scrivere un libro però sono rimasto frastornato, perché nella nostra coppia la scrittrice era Paola. Anche il successo all’inizio ha rischiato di mangiarsi tutto il resto della mia vita, perché consideravo un po’ un’ingiustizia che a essere diventato noto fosse un mio libro invece che un fumetto. Mi ha salvato il commento di una lettrice, che mi ha detto che era come se disegnassi con le parole”.

Bussola da fumettista si è ritrovato quindi anche scrittore, e allo stesso tempo è diventato l’esempio mediatico di padre presente, che cucina per le sue figlie, le accompagna all’asilo e a scuola, organizza la casa. “All’inizio mi chiamavano ‘mammo’ e mi dava fastidio: significa che se un uomo si avvicina alla sfera di cose attribuite per stereotipo all’universo femminile, per essere definito deve essere per forza accostato a una donna. – spiega – Ma nella nostra famiglia è sempre stato naturale che molte cose le facessi io, con Paola ci siamo divisi i compiti in base alle nostre attitudini. Lavorando da casa, io cucinavo o curavo l’orto. In fondo mamma e papà sono solo dei ruoli. Una famiglia è un organismo all’interno del quale vengono espressi dei bisogni. Ciò che conta è che si risponda, indipendentemente da chi lo faccia”. Dell’importanza del ruolo di genitore, dell’esserci, l’autore ha parlato spesso, descrivendo la paternità come un infinito arricchimento: “Cosa ho guadagnato con la mia scelta? La qualità dei bambini è che ‘diventano’ ogni giorno. Ogni cosa nuova presuppone l’abbandono di un’altra che non faranno mai più, e l’unica maniera di viverla è essere lì mentre si manifesta. I bambini ti insegnano a concentrarti su quello che c’è, sul presente. La parola che odiano di più è ‘dopo’ perché per loro conta solo il qui, l’adesso. Questo insegnamento mi è servito per scrollarmi di dosso molte cose inutili”.

In Italia il congedo parentale per i padri è ancora visto come qualcosa che può creare problemi

Certo il percorso non è stato tutto in discesa. Il successo dei libri, le presentazioni in giro per l’Italia con le librerie piene di persone e le file per gli autografi, le interviste: tutto questo è stato dopo. Prima ci sono stati i momenti duri, quelli in cui far quadrare i conti per far fronte alle esigenze famigliari anche con uno stipendio in meno. “I primi tempi sono stati molto tosti, per anni siamo stati con l’acqua alla gola – ricorda -. C’è stato un periodo in cui, letteralmente, vivevo solo del mio lavoro: quando ho cominciato mi pagavano 36 euro lordi a pagina, per farne una impiegavo uno o due giorni, se mi ammalavo o riuscivo a lavorare meno, guadagnavo meno. Dall’altra parte però sono riuscito a disinnescare molti pregiudizi sulla paternità. Mi dicevano che da padre non avrei avuto più tempo per nulla, invece io, che ho procrastinato per tutta la vita la scelta di fare fumetti, riuscivo a rendere di più, a sfruttare meglio anche i ritagli di tempo”.

Attraverso il suo nuovo ruolo di genitore, Bussola si è anche reso conto che fare il papà è un diritto che non è per tutti, almeno nel nostro Paese, e che ci sono ancora molti pregiudizi a riguardo. “In Italia il congedo parentale per i padri è ancora visto come qualcosa che può creare problemi, sul lavoro è oggetto di scherno o addirittura di mobbing. Il problema è culturale e riguarda anche le donne, che spesso vengono lasciate sole dopo il parto perché non si dice quanto sia importante che il papà stia a casa ad aiutare la propria compagna”. Un altro problema è che spesso i figli si rimandano in attesa di condizioni economiche migliori: “Questo a volte è un alibi, i figli possono anzi essere una motivazione per migliorare. Quando ci sono, si fa con quello che c’è”.

Le nostre vite sono migliori se accogliamo le cose che arrivano come se fossero davvero per noi

Tra tavole disegnate all’alba o in mezzo alle sue figlie che giocano e fanno i compiti, aneddoti di vita famigliare che continua a raccontare su Facebook, treni che lo portano in tutta Italia e progetti in divenire, oggi Matteo Bussola, come ammette lui stesso, è una persona molto diversa da come era quando faceva l’architetto. “Sono cambiato completamente. Noi siamo schiavi dell’idea che le nostre vite saranno migliori se fatte delle cose che abbiamo voluto, siamo ossessionati da obiettivi e traguardi. Invece penso che le nostre vite possano essere migliori se sappiamo mantenere aperta la capacità di accogliere le cose che arrivano come se fossero davvero per noi. Possono essere una persona, un’esperienza, una lezione, qualcosa che comunque ci serve. – conclude -. Io un tempo ero presuntuoso, convinto che avrei avuto quello che volevo, e sicuro di non desiderare figli. Poi è cambiato tutto, ed è stato un cambio di passo e di sguardo. Una volta avrei avuto paura, oggi accolgo tutto quello che arriva senza giudicarlo”.

Articolo Precedente

Basilicata, che fine fanno i pomodori del Sud. Ma soprattutto, che inizio hanno

next
Articolo Successivo

Vivere a Milano senza lavorare è uno scandalo. E io, modestamente, lo sono

next