Oggi voglio parlarvi di due piazze e di un palcoscenico. Partendo da quest’ultimo. Quello del Rebel Network che lo scorso 8 settembre ha riempito il Teatro degli Atti a Rimini, riunendo oltre 150 associazioni – tra europee, nazionali e locali – non solo per dire no alla deriva totalitaria e oscurantista che sta percorrendo l’Italia, ma per proporre un modello sociale nuovo: un neo-umanesimo non più basato su paura, fake news e odio sociale di cui si nutre la retorica del “governo del cambiamento”.

Su quel palco hanno parlato due donne, l’esperta in statistica Linda Laura Sabbadini e la sociologa Graziella Priulla. La prima, nel suo splendido intervento, ha fatto notare quali sono stati i fenomeni che stanno portando l’Italia ad essere la copia di un paese dell’ex blocco sovietico: come l’Ungheria di Orban, dove il disprezzo per le diversità è moneta sonante. Una delle cause di tale involuzione sta nell’incapacità dei governi precedenti di aver affrontato l’impoverimento generale, in un contesto di crisi decennale.

Quei governi non hanno saputo dar voce ai bisogni della società. Per arrivare alla prima misura di lotta alla povertà, ad esempio, Paolo Gentiloni ha stanziato i primi fondi solo a partire dal 2018. E sulla questione migranti, il fenomeno si è lasciato gestire – al di là del (cattivo) decisionismo di Minniti – al volontariato. Quando, secondo Sabbadini, bisognava avviare un processo di maggiore integrazione, per insegnare a quelle persone la nostra lingua, i nostri usi e la nostra cultura.

E poi c’è Priulla, che tra le molte cose condivisibili, ne dice almeno tre su cui vale la pena soffermarsi: essere dalla parte dell’Europa, oggi, non significa voler far cricca con i “poteri forti”, ma tornare ai valori di Ventotene, quando dalle polveri del nazi-fascismo rinasceva una nuova speranza di unione tra popoli. E ancora, che aizzare il popolo contro gli ultimi – i migranti nello specifico – è un insulto che si fa alla nostra società, presa in blocco come se non ci fossero voci dissonanti rispetto al salvinismo, e trattata come plebe violenta e razzista.

E poi c’è la terza questione fondamentale: nel contesto storico attuale, non è più l’ora fare i distinguo che hanno caratterizzato la storia della sinistra italiana. Occorre vedere ciò che ci unisce. Ed è quello che è successo a Rimini, in cui hanno dialogato molte realtà, nell’ottica comune che l’odio non può essere la soluzione. Perché è un film già visto, tra balconi da cui infervorare le masse a vittime privilegiate su cui far ricadere tutta la colpa: ieri gli ebrei, oggi i migranti.

Ed è qui che mi aggancio alle due piazze che ieri hanno popolato Roma e Milano. Non voglio soffermarmi sui numeri: le immagini parlano da sole e parlano di due piazze gremite, diverse tra loro per certuni aspetti, ma che hanno il dovere di dialogare tra loro. Quelle piazze rappresentano l’onda lunga di una riscossa civica che parte, se vogliamo, dal molo 5 di Catania, in sostegno alla Diciotti. Là migliaia di persone si sono radunate per ricordare al nostro governo che c’è un’Italia che non si riconosce in politiche e pratiche disumane, ma che mantiene ancora ben saldi i valori di libertà, giustizia e solidarietà.

Se Salvini e Di Maio fanno suonare le trombe del sovranismo, parola che non vuol dire nulla e che nasconde solo la loro incapacità di affrontare i veri problemi del nostro Paese – tra disoccupazione, mafia, violenza sulle donne, carenze infrastrutturali, giovani che vanno all’estero, debito pubblico, ecc – da Rimini a Catania, passando per piazza Duomo e piazza del Popolo, hanno fatto suonare le campane dei valori civili. Potremmo definirlo “valorismo”, se si vuol coniare un nuovo termine.

Quelle piazze, per altro, smontano la ormai logora narrazione salviniana – il nostro vicepremier non sa andare oltre i soliti slogan quando sente odor di contestazione – sui “quattro gatti” a manifestare, smentita da numeri ben più consistenti e dalla capacità della società civile di radunarsi e opporsi al baratro in cui vogliono farci sprofondare Lega e M5S. Le piazze di ieri dimostrano, insomma, che i numeri ci sono. Le idee pure, come è emerso dalla convention di Rimini. Bisogna fare squadra, adesso.

La politica in generale, dalla sinistra tutta – il Pd, in primis, dovrebbe riflettere sul perché le associazioni portano in piazza così tante persone e guardare a loro come stimolo – a Salvini e Di Maio (troppo ubriachi di potere per capire che il loro corso è transitorio) deve riappacificarsi con l’idea di dover fare i conti con queste realtà. Quella di un popolo che non è plebe, ma che reclama, e pure a gran voce, democrazia e senso dello Stato.

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