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Microsoft sostiene che gli hacker minacciano la democrazia. Ma è davvero così?

Microsoft sostiene che gli hacker minacciano la democrazia. Ma è davvero così?
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Microsoft lancia l’allarme: gli hacker minacciano la democrazia. La notizia, come è ovvio, fa subito il giro del mondo. Autorevole la fonte, appetibile la faccenda: gli ingredienti ci sono davvero tutti, ma forse vale la pena non lasciarsi trascinare dal forte vento e invece cimentarsi in una sorta di “bolina” culturale prima di finire sui soliti scogli della disinformazione.

Cominciamo con il fare una distinzione lessicale. Qualcuno ha subito puntato il dito contro i “pirati” informatici che tradizionalmente incarnano la “spes, ultima dea” a tutela dei diritti civili (proprio quelli calpestati dalle multinazionali che raccolgono dati anche all’insaputa degli interessati, che schedano comportamenti e condotte e – con modelli predittivi – già catalogano quelli futuri, che con hardware e software imbrigliano e condizionano).

Dovendo tradurre l’accezione anglofona è quindi più opportuno far riferimento ai “corsari”. Apparentemente simili per modalità di azione e immaginarie parvenze si distinguono dai più nobili (almeno d’animo) pirati per le finalità che muovono le loro azioni. Da sempre i corsari, infatti, non sono liberi professionisti del brigantaggio (nella fattispecie non marittimo ma telematico) ma co.co.co. al servizio di un governo che ne autorizza le scorribande con apposite “lettere di corsa” solite precisare la bandiera dei destinatari delle rapine o degli arrembaggi.

Il reclutamento di specialisti in possesso di capacità hi-tech non è privilegio solo di autorità nazionali (che in alcuni casi – come in Cina e in Russia – non indugiano a stabilizzare il rapporto di lavoro con contratti a tempo indeterminato) ma allettante possibilità per multinazionali, fazioni politiche e lobby ai piedi delle due precedenti.

L’interferenza nel viver quotidiano e la facile compromissione della libertà di scelta ed espressione sono gli atomi della pericolosa molecola che è embrione del declino democratico. Fake news, eutrofia mediatica di eventi di infimo cabotaggio, lenta e paziente polverizzazione della credibilità delle istituzioni, acerrimi duelli sui social dei moderni “miles gloriosus” a caccia di like e follower, possibili paralisi tecnologica dei sistemi elettronici che erogano servizi essenziali, lievitare di rabbia e astio facili da sfogare alla tastiera: la guerra dell’informazione è in corso e farne le spese sarà proprio la democrazia a dispetto di quella “diretta” che illude tanti ormai fermamente convinti sia la panacea dell’odierna civiltà.

I funesti corsari – ancor prima di aggredire un qualsivoglia nemico – sono in grado di frapporre una lente deformante tra chi si affaccia su Internet e la realtà, alterando le prospettive, inquinando la trasparenza tanto agognata, vanificando le migliori opportunità per manifestare opinioni, partecipare alla vita pubblica, dare il proprio consenso o dichiarare il proprio no.

Dalle nostre parti gli hacker non fanno paura. L’arretratezza tecnologica del nostro Paese (ne ho scritto altre volte) è infatti il miglior vaccino. Spaventano molto di più le raggelanti asserzioni di chi – coram populo – etichetta come inconcludente e inutile il Parlamento ed evoca atmosfere che un centinaio di anni fa la democrazia l’hanno cancellata davvero.

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