Ha vinto la “Brescello che vogliamo” della candidata Elena Benassi. Ha vinto la lista degli eredi politici di Ermes e Marcello Coffrini, ex sindaci del comune sciolto e commissariato nel 2016, che alla parola ‘ndrangheta preferisce l’espressione “malavita organizzata”. E che le infiltrazioni della cosca Grande Aracri le vede solo al condizionale. E nel proprio programma prende le distanze da prefettura e ministero: “Secondo le autorità di governo avrebbe condizionato la vita politica e sociale del paese”.

Ha vinto con solo un terzo dei voti, 878, ma gli altri 1663 elettori, la maggioranza dei cittadini che volevano cambiare pagina e storia, non hanno trovato un simbolo comune nella scheda elettorale e si sono dispersi tra quattro liste civiche. Maria Cristina Saccani, sostenuta dal Pd provinciale, è arrivata seconda di stretta misura con 63 voti in meno della Benassi. Michele Salomoni si è fermato a 418. È il candidato che aveva avuto il coraggio di dire: “Non sono stati i commissari ad umiliare Brescello ma chi ci ha portato per negligenza politica ad essere il primo comune sciolto per mafia in Emilia”. La “Brescello onesta” della candidata leghista Carmela De Vito ha fatto flop con l’8,59% dei voti mentre solo due mesi prima alle politiche il centrodestra in paese aveva stravinto superando il 40% e Matteo Salvini si era preso più di 600 preferenze. Infine 212 schede sono andate a Luciano Conforti, storico consigliere di opposizione che diceva nel suo programma: “Da sindaco sarò presente in ufficio cinque mattine la settimana dalle 8 alle 13”. Visti i tempi che corrono è già un bell’impegno.

Lo scrutinio nelle cinque sezioni del paese di Peppone e don Camillo si è concluso all’alba, dopo un’ultima settimana di campagna elettorale che ha visto volare scintille ed anche fulmini tra le varie liste. Quanto fosse pesante il clima in paese lo dice un esposto presentato questa mattina ai carabinieri di Brescello da un giovane rappresentante del movimento “Agende Rosse”, che da anni si batte in provincia di Reggio Emilia per creare consapevolezza sui rischi della presenza mafiosa. In un post online l’attivista si chiedeva (con toni rispettosi) se la candidata della lista “Brescello che vogliamo” indicata come futuro assessore alla pubblica istruzione non fosse troppo giovane (20 anni) per confrontarsi con presidi, genitori e provveditorato. La risposta che gli è arrivata su facebook firmata da un parente di un altro candidato della lista Benassi, è la seguente: “Senti bello, puoi votare chi cazzo ti pare. Ma tira ancora fuori il nome di …, permettiti un’altra volta.. Evita seriamente, se non sai dove parare non infangare le persone. Ti invito a farlo. Non è per niente una minaccia, che sia chiaro. Tira fuori le palline almeno e rispondi.”
Nel suo esposto l’attivista delle Agende rosse si chiede con che serenità potrà ora dialogare se necessario con la neo assessora alle scuole.

In democrazia vince chi prende più voti anche se è minoranza tra gli elettori e il voto di Brescello è stato chiaro, anche e soprattutto su chi ha perso. La politica prima di tutto, che per anni ha preferito dimenticare il comune sulla riva del Po e guardare altrove. Il Pd provinciale ha sostenuto una candidata civica dell’ultima ora senza metterci la faccia e il simbolo. I 5 Stelle che pure alle politiche avevano portato a casa 845 voti con la sconosciuta (in paese) Rossella Ognibene, hanno ignorato le elezioni, la Lega ha preferito contarsi da sola mascherandosi da lista civica.

E pensare che su Brescello i due partiti oggi al governo del Paese sfiorano il 50% dei consensi. Il messaggio che esce da queste elezioni per Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ad un anno dal voto nelle grandi città sulla via Emilia, è semplice: la divisione fa la debolezza. Soprattutto quando sul tappeto non c’è solo il rinnovo di un ente locale ma una questione seria e drammatica come la lotta alle infiltrazioni mafiose.

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