L’Anticipo pensionistico volontario costa troppo. E di conseguenza stenta a decollare. L’Ape avrebbe infatti dovuto coinvolgere 300mila persone. E, invece, secondo dati Inps, fino a martedì 5 giugno, le domande erano 5.105, appena l’1,7% dell’intera platea dei potenziali beneficiari. L’iniziativa del resto non era partita con il piede giusto cumulando ritardi su ritardi. Ma la differenza la sta facendo il contratto con le condizioni del prestito concesso ai lavoratori intenzionati ad andare in pensione a 63 anni nel 2018 (o almeno 63 anni e 5 mesi nel 2019) con un’anzianità contributiva di almeno 20 anni.

Il finanziamento prevede infatti la restituzione dell’importo anticipato da Banca Intesa (unico istituto che ha aderito all’iniziativa) al tasso fisso (Taeg) del 6 per cento. Un valore elevato in tempi in cui il denaro viene prestato a buon mercato. Per non parlare del fatto che in caso di estinzione anticipata del finanziamento c’è anche una penale dell’1 per cento. Va tuttavia precisato che, come previsto dal legislatore, l’onere del finanziamento, che include anche un’assicurazione e la partecipazione ad un fondo di solidarietà, è dimezzato da un bonus fiscale. Ciononostante, la platea dei potenziali beneficiari, che può presentare domanda direttamente all’Inps, anche via web, resta scettica.

Il motivo? Secondo il responsabile previdenza pubblica della Cgil, Enzo Cigna, questa misura “è poco attraente e per giunta non è percepita come una modifica strutturale. Prova ne è anche la scarsa attenzione da parte degli intermediari che non hanno aderito in massa all’iniziativa come sperava il governo”. Intesa è infatti l’unico istituto di credito ad offrire il finanziamento per l’Ape che attualmente, per quanto non particolarmente allettante, resta lo strumento principe offerto dal governo a chi voglia smettere di lavorare prima del tempo.

I potenziali beneficiari lo sanno bene visto che al momento all’Inps risultano oltre 245mila simulazioni, quasi l’82% del totale della platea potenziale. Solo poco più di 23mila persone hanno però poi effettivamente richiesto le certificazioni necessarie per presentare successivamente la domanda che, una volta convalidata dall’Inps, viene direttamente inoltrata alla banca per il prestito. È possibile che i lavoratori stiano facendo i loro conti prima di procedere con il deposito della domanda sapendo che la rata del prestito non potrà comunque superare il 30% del futuro assegno previdenziale al netto di eventuali altre trattenute. E, stando agli ultimi numeri, i potenziali pensionati stanno valutando se il gioco non vale davvero la candela.

Un esempio concreto può forse essere utile a chiarirsi le idee: secondo le stime della Cgil, un lavoratore che a 67 anni percepirà una pensione di 2.000 euro netti e voglia anticipare i tempi tramite due anni di Ape da 1600 euro al mese, riceverà 38.400 euro complessivi a copertura del periodo in cui si smetterà di lavorare, ma non sarà ancora in pensione. Il lavoratore dovrà poi restituire l’anticipo in 20 anni a partire dal momento in cui si maturano i requisiti pensionistici e si riceve l’assegno previdenziale. La rata mensile si attesterà a 290 euro da cui andranno detratti 63 euro di bonus fiscale. Di conseguenza la trattenuta reale sulla pensione sarà di 227 euro. Considerato anche il bonus fiscale, l’assegno previdenziale sarà quindi di 1773 euro. Se si proietta il calcolo su venti anni, il risultato è che, in condizioni normali, lo stesso lavoratore riceverà 520mila euro di pensione. Con l’Ape ne avrà invece 504mila con un tasso netto (bonus fiscale incluso) del 3,38 per cento.

“A queste condizioni, diversi lavoratori hanno ritenuto che l’Ape volontario non è uno strumento appetibile perché comunque ha un costo elevato”, ha concluso Cigna. Dal canto suo, Banca Intesa ritiene di aver fatto il massimo per offrire ai potenziali fruitori dell’Ape un finanziamento funzionale alla misura varata dal governo. “Il Taeg del 6% si compone di tre elementi – ha spiegato a Radio 24 il responsabile sales & marketing Banca dei Territori Intesa Sanpaolo, Andrea Lecce, lo scorso 17 aprile – Il primo è il tasso effettivo che viene pagato per restituire il prestito, il secondo è la copertura assicurativa, che è molto importante e penso anche unica a livello mondiale di questo genere, perché rende indenni tutte le persone, eredi inclusi, dalla restituzione del debito eventualmente adesivo, per esempio, in caso di premorienza. E, infine, terzo c’è la copertura dovuta, seppur minima per un fondo di garanzia”. Messa da parte la quota assicurativa e quella del fondo, tenendo conto che si tratta di un prestito a vent’anni, alla fine, secondo Lecce, il margine sul finanziamento incassato dalla banca si aggira attorno all’1 per cento.

Indipendentemente dal fatto che si tratti di clienti o meno della banca perché sulla carta il lavoratore che punta all’Ape non è tenuto ad aprire un nuovo conto corrente. Peraltro “la banca non può fare azioni di natura commerciale e vendere altri prodotti – ha poi concluso Lecce – .Conseguentemente questa operazione la facciamo proprio perché c’è un’esigenza sociale molto importante e, come in tutte queste situazioni, riteniamo opportuno essere presenti e intervenire”.

Un’operazione di sistema per venire incontro ad un governo che però, secondo la Cgil, non è stato in grado di fare riforme più incisive e durature su un tema importante come quello delle pensioni degli italiani.

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