Cultura

Il Caso Enzo Tortora, a 30 anni dalla morte del giornalista il libro che è un legal thriller di sconvolgente attualità

Lo scrittore e criminlogo Luca Steffenoni, per Chiarelettere, ha scritto di una vicenda che nasce molto prima dell’arresto del presentatore e interseca le faide che si susseguono a fine anni Settanta, il brigatismo rosso, il rapimento dell’assessore Cirillo, la lottizzazione Rai, l’uso strumentale dei pentiti. E ancora, la tentazione di alcune aree dello Stato a coltivare trattative inconfessabili, la lotta alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, gli eterni umori giustizialisti del popolo italiano

di F. Q.

Temi come la presunzione d’innocenza, l’onere della prova, l’arresto preventivo, la separazione delle carriere, e soprattutto la responsabilità civile dei magistrati, iniziarono a imporsi ovunque. Gli italiani votarono un referendum con percentuali bulgare, i giuristi scrissero saggi pieni di buone intenzioni, i politici fecero promesse vuote, i penalisti misero mano alla riforma della procedura penale.
Sappiamo com’è andata a finire, con una giustizia che, se allora era febbricitante, oggi è malata cronica, un’opinione pubblica sempre più incattivita, una politica troppo impegnata a difendersi dalle manette per dedicare tempo a questi argomenti. E senza nemmeno
più un Tortora che possa scuoterci dal torpore. Tornando ad allora, mentre condividevo l’importanza di affrontare quei nodi cruciali, ricordo di aver letto molto sul caso. La popolarità del personaggio, la sua combattività, perfino l’assurdità di questo legal thriller
sgangherato, produssero infatti un’indelebile scia d’inchiostro. Giornalisti, scrittori e sceneggiatori si misero d’impegno, chi per proseguire nel disgustoso linciaggio del presentatore di Portobello, chi per raccontare gli aspetti umani della tragedia che si stava compiendo.

È su quei libri e su quelle pagine di giornale che mi sono fatto l’idea che qualcosa nella narrazione non tornasse. Che tutta la vicenda venisse rappresentata come un caso di follia giudiziaria, e si esaurisse in un semplice moto di dissenso verso l’azione dei giudici
della decima sezione penale di Napoli. In pochi si accorgevano che nell’aula bunker di Poggioreale non si stava consumando solo il funerale della giustizia, ma un vero complotto istituzionale, nel quale i togati recitavano la triste parte dei comprimari, il terminale di un sistema al quale le accuse a Tortora servivano come il pane. C’è voluto molto tempo per tratteggiare i contorni di questa ennesima pagina nera della nostra Repubblica. Per comprendere anche solo parzialmente il disegno che ha spinto Tortora a Regina Coeli, che l’ha pubblicamente crocifisso e infine ucciso.

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