Dopo 60 anni il Fronte nazionale lascia il potere in Malaysia. Un risultato inedito che porta al governo l’opposizione che ha ottenuto la maggioranza in Parlamento con 112 seggi contro i 76 del partito che da sei decenni domina incontrastato. Le elezioni sono state di fatto un referendum popolare sull’esecutivo di Najib Razak, primo ministro al centro di un colossale scandalo di corruzione. Poco prima della proclamazione della vittoria, il leader della coalizione di opposizione Mahathir Mohammad ha accusato la Commissione elettorale di ritardare la diffusione dei risultati del voto nel tentativo di organizzare brogli per consegnare la vittoria al fronte governativo al potere da sei decenni.

I due blocchi di potere che si sono sfidati sono la coalizione del Barisan Nasional (Bn) e l’alleanza d’opposizione Pakatan Harapan (Ph), guidata dall’ex “uomo forte” Mahathir, sempre combattivo nonostante i suoi 92 anni. Il Bn ha il suo elettorato di riferimento nella maggioranza musulmana malay (oltre due terzi della popolazione), che sostiene il Bn per la difesa dei privilegi assegnati ai malay in quanto “popolo originario”, mentre l’opposizione è forte tra la minoranza cinese (24 per cento) e quella indiana (7 per cento), ma ha accresciuto il suo consenso anche tra i malay, specie tra i più giovani.

La campagna elettorale è stata piena di colpi bassi. Lo scandalo legato alla gestione del fondo sovrano 1MDB, sulla quale diversi Paesi indagano per appropriazione indebita, è stato sfruttato per attaccare Najib, che era peraltro uno dei fidati “delfini” di Mahathir, quando quest’ultimo era al potere tra il 1981 e il 2003. Anche la moglie del premier, nota per il suo gusto del lusso, è stata bersagliata dal Ph.

Paradossalmente, Mahathir ha preso la guida dell’opposizione dopo la condanna per sodomia – considerata una persecuzione politica – del suo leader Anwar Ibrahim, in passato vicepremier imprigionato una prima volta proprio nell’era Mahathir.

Tensione anche per le possibili ripercussioni dell’esito del voto sul precario equilibrio tra le tre componenti etniche. Per aumentare la sua popolarità, Najib ha anche fatto leva sui valori conservatori islamici, col rischio di aumentare le contrapposizioni religiose. Ma una vittoria del governo viziata da temuti brogli sarebbe stata un ennesimo segnale della crescita dell’autoritarismo nel Sud-est asiatico, sulla scia della Thailandia e delle Filippine, e anche sull’esempio fornito da Donald Trump sulle “fake news”: il governo di Najib aveva reso la loro diffusione punibile con sei anni di reclusione.

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