Mattarella ha rovesciato la clessidra. Il tempo concesso ai partiti sta per scadere. Dalle nebbie si definisce sempre di più la linea che porta a tre strade possibili, su cui concordano i quirinalisti dei principali giornali. La prima, quella più quotata: il mandato esplorativo alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. La seconda, in subordine: un pre-incarico al capogruppo della Lega Giancarlo Giorgetti. La terza, improbabile fino a due giorni fa, cioè fino a quando Berlusconi ha fatto saltare (di nuovo) il tavolo: un governo “del presidente”, “di tregua”, “di scopo”, cioè – come scrive Marzio Breda sul Corriere – “un incarico pieno a una personalità sopra le parti”. Il tempo sta per scadere appunto e il capo dello Stato lo ha detto a tutti i gruppi che ha ricevuto nella sala della Vetrata, al Quirinale. Così i tempi sono anche i suoi: la Siria rischia uno sviluppo così repentino che l’Italia dev’essere pronta, con un governo con pieni poteri e poi – ancora il Corriere – il presidente vuole impegni precisi “altrimenti la gente”, della quale Mattarella si dichiara portavoce e difensore civico, “non capirebbe”. I tempi sono anche i suoi, dunque, si diceva. Oggi il presidente della Repubblica terminerà le consultazioni con i tre presidenti, quello della Camera Roberto Fico, quella del Senato Alberti Casellati e quello emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Dopodiché potrebbe riservarsi una decisione da oggi fino a lunedì o martedì: tre-quattro giorni per cercare la strada più sicura dopo un mese e dieci giorni di stallo totale tra le forze politiche, alle quali aveva concesso il tempo per parlarsi, invano finora.

Lo scenario che vede un mandato esplorativo da affidare alla presidente Alberti Casellati sembra quello più praticabile, per vari motivi. Da una parte per un pezzo di Pd potrebbe essere una soluzione “più digeribile” perché il governo non sarebbe guidato da un leghista, ma da una “moderata” (anche se non sempre nei toni né su certe uscite sulle questioni giudiziarie di Berlusconi). Dall’altra i senatori grillini hanno già scritto il suo nome su una scheda, votandola compatti come guida dell’assemblea di Palazzo Madama. Ma quella era un’altra partita, per gli incarichi istituzionali. E per molti del gruppo M5s è stato già uno sforzo scrivere il nome della berlusconiana come seconda carica dello Stato: vederli passare per dire sì a un governo guidato dall’ex componente del Csm sembra un’ipotesi più che remota. Il ragionamento, tuttavia, è che se il nome della Alberti Casellati ha sbloccato la situazione sulle presidenze, potrebbe anche invitare a scongelare le posizioni per una possibile maggioranza. Lei, alla Stampa, si dice pronta a ogni evenienza: “Se me lo chiedesse il presidente della Repubblica non potrei certamente dire di no” a un mandato esplorativo. Usa tutte le formule dubitative (“Mi sembra uno scenario prematuro”), traccia anche un primo schizzo del possibile programma di governo: “Fisco come priorità assoluta, poi la sicurezza e la legge sulla legittima difesa“. Nel frattempo accenna un occhiolino ai Cinquestelle – chissà quanto efficace – rilanciando l’istruttoria sui vitalizi che ha deciso, dice, “d’intesa con il presidente Roberto Fico”.

Poi c’è l’ipotesi di un incarico “più politico”, per così dire, che andrebbe a rintracciare il nome di Giancarlo Giorgetti che sembrava a un passo dalla guida della commissione speciale di Montecitorio e invece significativamente è stato “conservato” da Salvini come pivot delle trattative del Carroccio. E’ lui che dà il sostegno all’ipotesi della Casellati, ma può apparire anche un modo per schermirsi. Anche Giorgetti, come la presidente del Senato, è una figura più dialogante sia con i Cinquestelle sia con il Pd. E permetterebbe a Salvini, eventualmente, di non bruciarsi in un pre-incarico verso il nulla. Ma qui si inserisce un’altra variabile, raccontata da vari giornali: la strategia del capo della Lega è di buttare il pallone il più possibile in avanti, in attesa del risultato delle Regionali in Friuli che gli darebbe forse la forza di rompere con Berlusconi e aprirsi quindi l’autostrada del governo con il M5s (per il quale Berlusconi è un ostacolo insormontabile e viceversa).

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