Sono due le battaglie parallele, ma strettamente connesse, che in queste ore si stanno combattendo nel Partito democratico. La prima, quella del prossimo governo, si deciderà nelle aule parlamentari ed entrerà nel vivo martedì, quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aprirà le consultazioni al Colle. La seconda, tutta interna al Pd, si sta giocando, invece, nelle stanze del Nazareno. Ed ha assunto nelle ultime ore i connotati di una vera e propria guerra di successione a Matteo Renzi nella corsa alla segreteria. Se c’è, del resto, un insegnamento che i leader della minoranza dem hanno imparato a proprie spese è che chi controlla il partito controlla le candidature e, di conseguenza, le truppe schierate in Parlamento. Dove oggi l’ex segretario, che ha disegnato le liste elettorali a propria immagine e somiglianza, detta ancora legge. Due battaglie, insomma, che si preannunciano lunghe e complesse.

Il 15 aprile, a consultazioni in corso, si riunirà l’Assemblea nazionale del Pd per fissare le tappe verso il congresso. Ma la partita entrerà nel vivo, probabilmente, solo dopo le amministrative di giugno (il 27 sono previsti gli eventuali ballottaggi nei Comuni con più di 15mila abitanti). Sarà quella la sede per regolare definitivamente i conti. Ma dopo l’uscita allo scoperto di Dario Franceschini (“Sarebbe bene fare una discussione nei gruppi”), subito spalleggiato da Andrea Orlando (“Non si può andare al Colle dicendo che non siamo disponibili a niente”), che ha messo in discussione la linea dell’opposizione senza se e senza ma sulla quale Renzi ha imposto che le truppe parlamentari dem rimanessero schierate, la partita è di fatto già iniziata.

Le prime avvisaglie del livello di tensione all’interno del Pd c’erano già state, del resto, in occasione dell’elezione dei capigruppo di Camera e Senato. Quando, solo grazie alla mediazione del reggente Maurizio Martina, si è evitata la spaccatura. Riequilibrando la designazione del renziano di ferro, Andrea Marcucci a Palazzo Madama, con quella di un altro renziano, ma critico e dialogante, come l’ex ministro Graziano Delrio alla Camera. L’ex ministro dell’Agricoltura è uno dei candidati già di fatto in campo per la rincorsa alla segreteria. Una partita nella quale può contare sul sostegno degli ex Ds, l’area di riferimento dalla quale lo stesso Martina proviene. Autocandidandosi alle primarie, anche Matteo Richetti ha scoperto le carte. Per preparare la scalata al partito ha dato vita addirittura ad un think thank dall’esotico nome di Harambee (Insieme). Nonostante il feeling perduto con Renzi, con il quale aveva condiviso il sogno (tradito) della rottamazione, oggi la sua candidatura in chiave anti-Martina non dispiacerebbe affatto all’ex segretario. Parallelamente, continua il pressing di una parte del Pd sullo stesso Delrio, l’uomo della mediazione, che in molti vorrebbero alla guida del partito nonostante continui a ribadire la sua indisponibilità. Resta defilato, almeno per ora, anche Paolo Gentiloni, l’uomo giusto, secondo i suoi principali sponsor (da Franceschini a Orlando e Veltroni), per traghettare il Pd nell’era post-renziana.

Insomma, due partite, quella per il governo e l’altra per la segreteria dem, ancora condizionate dai contrasti tra renziani e anti-renziani che ormai da cinque anni stanno dilaniando il Pd. Che, in caso di stallo nelle consultazioni, potrebbe ritrovarsi ago della bilancia tra due opzioni: il ritorno alle urne o la nascita di un governo. Il no di Renzi a qualunque ipotesi di intesa con il Movimento 5 stelle (“Servirebbe il 93% del gruppo. E io almeno il 7% ce l’ho”), sta alimentando, negli ambienti della minoranza del Partito democratico, un sospetto che si rafforza con il passare dei giorni. “Se l’idea dell’ex segretario è quella di aspettare che Di Maio fallisca per poi dare vita ad un Nazareno-bis e far partire un governo di centrodestra, retto da una grande coalizione alla tedesca, è bene che rifletta sul fatto che a differenza della Merkel, si ritroverebbe alleato di Salvini e Berlusconi”, mette in guardia un autorevole esponente della Direzione dem. Uno scenario, peraltro, che proprio oggi Il Giornale della famiglia Berlusconi ha evocato chiaramente: “Né in verità i renziani pensano all’opposizione comunque e per sempre: tra loro c’è chi autorevolmente ragiona sul fatto che, in tempi lunghi, se l’opzione Di Maio-Salvini si bruciasse potrebbe nascere un governo di centrodestra e il Pd potrebbe giocare le sue carte per trattare su un programma europeista e di riforme”, si legge in un retroscena pubblicato a pagina 10. “E per il Partito democratico sarebbe davvero la fine”, conclude sconsolato il dirigente dem.

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