Giovedì 22 marzo torna “A Casa Vostra“, l’inserto di quattro pagine dedicato alle città italiane. Questa volta l’inviato del Fatto Giampiero Calapà racconterà Catania. Un viaggio che parte incontrando  i  “carusi”, cioè i ragazzi in fila ai centri per l’impiego delle cosche, sperando in un posto da pusher o da vedetta. Perché nella città ai piedi dell’Etna i quartieri sono divisi tra le due storiche famiglie affiliate a Cosa nostra, Santapaola e Mazzei, e altri clan, feroci e imprevedibili. Una mafia diversa da quella palermitana, meno strutturata, meno controllabile. Soprattutto una mafia che si radica fingendo di svolgere un ruolo sociale: i giovani catanesi trovano lavoro arruolandosi con la criminalità.

Mentre ai Caf c’è chi offre le “borse della spesa” per conto di gran parte della politica che il 10 giugno sarà di nuovo sotto i riflettori per il voto comunale. Uscirà di scena probabilmente il sindaco Enzo Bianco, diventato sindaco una prima volta negli anni Ottanta, poi riconfermato nel 1993 e infine ritornato nel 2013. Oggi si ricandida, ma difficilmente resterà primo cittadino. La sua promessa di una primavera catanese pare tramontata. Ecco Catania, dove il racket garantisce alle cosche un giro d’affari di 70 milioni l’anno. Dove trovare chi non paga il pizzo è quasi impossibile, ma le denunce si contano sulle dita di una mano. Ma in periferia – nella città-satellite di Librino, 100 mila abitanti – ci sono i Briganti che salvano 250 bambini e ragazzi arruolandoli nel rugby. E Catania è anche città di grandi cantautori, come Colapesce, 34 anni: “Qui il pensiero mafioso è troppo radicato, ribelliamoci con la musica”.

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